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Weltnacht, il ritorno di Emanuele Severino nell’eterno- di Emanuele Torreggiani

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Gustavo Bontadini, allievo prediletto di Giovanni Gentil del quale il filosofo dell’puro agire aveva colto la predestinazione alla metafisica, “Metafisica e deellenizzazione, Metafisica dell’esperienza”, completo di velluto, camicia a quadri e scarponcini da boscaiolo, mezzo toscano tra le dita tozze, uomo che arrampicava in parete come lungo le gronde bramantesche della Università Cattolica, quando, nei torbidi occupazionali, anni Settanta, perché lui non si faceva imporre nulla da alcuno, Viva il Signore del Cielo e della terra e di tutte le cose create e non create figuriamoci se mi fermano, il professore che faceva volare i libretti giù dai finestroni, lui aveva nel cuore Emanuele Severino, il suo ragazzo bresciano.

 

L’allontanamento di E.S. avvenne per motivi politici, sapete quella politica d’accatto degli enti statali, parastatali, privati, privatissimi, ma sempre d’accatto.

Equilibri di potere, diconsi. Pianse Bontadini. Pianse le lacrime che chiunque oggi, apprendendo di Severino partito per il centro dell’eterno, Parmenide, potrebbe. Già scrivendo, per comodità di linguaggio, della partenza, la morte, e del centro dell’eterno, mi pare, sgusciando lo sguardo dalla tastiera ai corridoi deserti di questa mia casa, che Severino alzi l’indice dicendo anche tu. No, Professore. Mi guardi, scrivo alzato in piedi. Scrivo. Il tutto eterno di Severino fonda il ritorno nell’Occidente, la terra dell’occaso – del tramonto, dell’essere che dimostrandosi tale, l’essere dunque, non può confluire nel nulla. Questa la follia dell’Occidente, il pensiero debole, il pensiero negativo, che dichiarando come dal nulla al nulla si ritorni, si dichiara concetto paralogistico, cioè contraddittorio ed anche, in caduta, concetto potentemente superstizioso. Mentre l’essere, dimostrandosi, ritorna dentro il sé stesso. Noi non lo vediamo più, ma il nostro vedere è ben poca cosa, il nostro vedere lo collochiamo ai fenomeni, ma il nostro vedere logico sa condurci oltre, ed è il vedere e comprendere la luce dell’eterno essere. Non nega Severino il divenire del mondo, questa mia sigaretta che brucia. Non è per nulla questo il divenire. L’essere consiste nella mia mano che sostiene la sigaretta e la mia mano è parte integrante del mio essere che sono io, nella forma di questo corpo, ma io sono io anche senza più la forma, cioè io sono io nella mia morte e il mio corpo non è che un mozzicone di cenere. Pensava in grande Severino. Mostrava l’evento dell’essere dispiegato nella logica del linguaggio, il dono più grande dell’uomo portato seco dall’essere stesso.

Ora che Severino è ritornato nell’eterno, dopo la parentesi oscillatoria (l’immenso Platone così perimetra la vita, una parentesi oscillatoria tra la venuta ed il ritorno), mi piace chiudere con un verso di Hölderlin, che noi tutti, pochissimi, dobbiamo a Lei Professore, nell’autentica comprensione. Weltnacht, la notte del mondo, quando muore un grande spirito.

Emanuele Torreggiani

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