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Viaggio tra Israele e Palestina: la vita nei campi profughi della Cisgiordania e gli arresti arbitrari

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Non avrei considerato completo il mio recente viaggio tra Israele e Palestina senza aver visto i campi profughi della Cisgiordania. Ho chiesto a Nasser, l’autista che avevo ingaggiato a Gerusalemme Est di accompagnarmi e, inizialmente, è apparso titubante alla mia richiesta. “Io so dove portarti, ma c’è un problema. Se ci fermano che gli dico?”. Non lo so Nasser, andiamoci e ci verrà in mente qualcosa. Il problema, in effetti, non era cosa da poco. L’Esercito Israeliano ha il potere di controllare, intervenire, arrestare anche sulla base del solo sospetto (o anche senza sospetto) e condannare.

Anzitutto un campo profughi esiste già a Gerusalemme Est. Si trova all’interno del quartiere di Shuf’ata. Un agglomerato di abitazioni fatiscenti a rischio crollo, strade senza fognature e montagne di rifiuti utilizzati come area giochi dai bambini. Non ci troviamo di fronte a campi profughi con tende come potremmo immaginarci. Questi sono nati dopo il ’48, dopo la guerra arabo israeliana e dopo la guerra dei sei giorni del ’67 per dare riparo a chi aveva perso tutto. A differenza degli altri chi vive a Shuf’ata ha i documenti israeliani. Ma le incursioni e le rivolte sono all’ordine del giorno, come negli altri campi profughi. Ahmed gestisce una drogheria in quello che si trova tra Hebrom e Gerico, chiamato Arroub.

“Per buona parte della giornata siamo senza corrente e senza acqua. Come posso mandare avanti la mia attività in queste condizioni?”. Ma quelli elencati da Ahmed sembrano il meno dei problemi. Giriamo per le strade e non c’è nessuno. Un’atmosfera spettrale. Ci sono due scuole, una per maschi e una per femmine realizzate dall’agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Fuori dalla moschea di Hebrom un anziano, alla domanda di quali fossero le cose necessarie da sistemare, abbassa lo sguardo in segno di resa. Nasser mi dice che in quella città non esiste famiglia che non abbia avuto problemi con l’Esercito Israeliano. Non si fanno scrupoli, anche i bambini arrestano.

Soltanto il giorno prima avevo assistito personalmente a tre arresti nell’area esterna della moschea di Al Aqsa a Gerusalemme. Improvvisamente le soldatesse e gli uomini dell’IDF cominciarono a correre. Incuriosito mi diressi verso di loro e li vidi apparire, da una delle piccole vie, con tre giovani palestinesi accompagnati a braccio. Erano appena stati arrestati, non conoscevo il motivo. Ad impressionarmi fu il loro volto. Sorridevano in maniera ironica e compiaciuta vantandosi di essere stati arrestati. L’agenzia palestinese Wafa ha parlato di quegli arresti alcuni giorni dopo, senza dare alcuna spiegazione. In particolare sui motivi, perché spesso e volentieri motivi non ce ne sono.

Kalandia è il terzo campo profughi che siamo riusciti a vedere e si trova sulla strada che porta da Gerusalemme est a Ramallah. Entriamo a piedi eludendo i controlli e, a differenza di quello visto vicino a Gerico, troviamo una folla di giovani e bambini. Bambini che giocano con le finte mitragliette in mezzo ad una sporcizia indicibile. E giovani che, appena ci vedono, cominciano ad attaccare discorso. Ma sono in evidente stato confusionale, rischiano di diventare pericolosi e mettono una pena infinita. Forse sono sotto l’effetto di stupefacenti, almeno per alcuni ne ero certo. Lascio il campo profughi di Kalandia con un vuoto dentro e comincio a fare alcune considerazioni tra me e me, mentre Nasser ci riporta a Gerusalemme. Che senso ha creare questo stato di tensione continua? Vogliono che quei ragazzi arrivino all’autodistruzione almeno si tolgono dai piedi un gravoso problema? Controlli esasperati, incursioni diurne e notturne, arresti arbitrari non fanno altro che aumentare lo stato di tensione emotiva in cui vivono tali popolazioni condannate ad un futuro inesistente. La stessa uccisione della giornalista palestinese nel campo profughi di Jenin ha acuito questo stato di esasperazione.

Chi viene ucciso, arrestato, malmenato dall’Esercito Israeliano diventa un eroe e così le rivolte non avranno mai fine. Mentre arriviamo a Gerusalemme costeggiamo il muro mega galattico con filo spinato che divide Israele dalla Cisgiordania e mi chiedo da quali disturbi mentali siano affetti i personaggi che hanno voluto tutto questo. Non è un caso che all’aeroporto Ben Gurion il turista venga sottoposto a veri e propri interrogatori con l’intento di carpire informazioni su palestinesi che possano essere collegati con ambienti terroristici. Ma, cari agenti dell’IDF, parlare di terrorismo è una cosa. Parlare di bambini che giocano in mezzo a montagne di rifiuti e sono destinati ad una vita dell’infermo è ben altra cosa. Carpire informazioni su di loro non è roba da miglior Esercito del mondo.

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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