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UrbanaMente Giovani: l’uomo perde il pelo ma non il vizio?

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Tra chi allerta la sua pericolosità e chi la paragona soltanto a una comune influenza, il coronavirus si sta diffondendo sempre più nel nostro paese e nel mondo. A distanza di 500 anni dalla peste nera che portò danni ingenti in tutti i settori (da quello demografico a quello economico, passando per il lato sociologico) sembra essere arrivato un nuovo nemico. Ed è proprio in questi giorni, sentendo le notizie che ogni giorno televisioni e giornali rilasciano e testando sulla nostra pelle questa surreale situazione che riecheggiano e ritornano in mente le frasi indelebili di Boccaccio e Manzoni, per citarne le più famose, che nel ‘Decameron’ e ‘I Promessi Sposi’ descrissero con rilevante abilità e maniacale attenzione la malattia che portò via con sé milioni e milioni di morti. Mutatis mutandis peste e coronavirus, con le relative conseguenze, presentano molte divergenze ma altrettante analogie, benché siano trascorsi diversi secoli tra le due epidemie.

Entrambi giunti in Europa dopo essersi originati ambedue da animali, e aver causato numerosi morti in Oriente, sono accomunate da alcuni metodi di trasmissione da individuo a individuo: così come per la peste il contatto con un infetto o un oggetto toccato da questo aumentava la probabilità del contagio, in maniera quasi analoga avviene per il contagio da coronavirus. Ovviamente si parla di due malattie completamente diverse, una con il tasso di mortalità al 39%, l’altra al 2%, ma, grazie al confronto con il passato fornitoci dalle opere di Boccaccio e Manzoni, possiamo notare come i comportamenti umani e le reazioni di fronte a una malattia con queste caratteristiche di trasmissione siano i medesimi, quasi a indicare che le emozioni, sentimenti, paure e angosce degli uomini restino immutati nel corso dei secoli.  Se nel passato si assisteva alla caccia agli untori, coloro che, assumendo degli atteggiamenti ‘sospetti’, erano accusati di spargere volontariamente la malattia, ai giorni nostri si assiste a uno scenario non proprio diverso.

Almeno durante la peste bubbonica  le superstizioni legate all’ignoranza erano quantomeno giustificabili; nonostante gli enormi passi avanti nel campo della scienza, che ci dimostra le origini e i metodi di trasmissione della malattia, sembriamo ricascarci di nuovo in quanto si assiste sempre più a episodi di discriminazione soprattutto verso i cinesi, considerati da alcuni i responsabili di questa situazione: esempi emblematici sono gli episodi avvenuti a Firenze, dove una compagnia di turisti orientali è stata insultata a suon di «Schifosi, sudici, andate a tossire a casa, ci infettate tutti, fate schifo..»; a Magenta dove una banda di ragazzini di 15-16 anni ha urlato a una signora cinese “cinese virus, vattene” e in molte altre città dove i cinesi si sono visti vietare l’ingresso in bar o negozi a causa della loro nazionalità.

Nell’Orrido Cominciamento Boccaccio ci parla dell’inasprimento della vita sociale e dei rapporti umani, fino ad arrivare al punto in cui i membri di una famiglia si abbandonassero per paura del contagio della peste. L’uomo si dimostrava dunque egoista in un contesto simile e guarda caso lo si dimostra anche nel 2020. Ad avvalorare questa tesi ci sono i fatti avvenuti in molti supermercati, dove la gente si è ammassata, rischiando di passarsi la malattia, per procurarsi tutto l’occorrente per affrontare questa sorta di incombente ‘apocalisse’ o le scene di pendolari milanesi meridionali che, appena trapelato il contenuto del decreto del governo che esplicitava il divieto di uscita dalla Lombardia, sono accorsi in stazione Garibaldi a Milano per tornare dalle loro famiglie al sud, affollandosi sui treni, cercando di scappare dal pericolo ma così facendo aumentando la probabilità di diffusione del virus anche nelle altre regioni italiane (scene che tra l’altro, per restare in tema, ricordano molto l’assalto al forno delle grucce di manzoniana memoria). A fronte di tutti questi comportamenti sociali attuati dall’uomo in un quadro delicato come questo l’aforisma del filosofo illuminista Hobbes ‘Homo homini lupus’ non pare così sbagliata.

Sempre Boccaccio ci descrive le reazioni degli uomini di fronte alla malattia: chi l’affronta rinchiudendosi in casa e chi cantando e spassandosela in giro aspettando, nella maniera migliore possibile, l’arrivo della morte. Anche ai tempi del coronavirus si possono testimoniare i due lati della medaglia: chi si barrica in casa e chi, nonostante si venga invitati a evitare di muoversi e non incorrere in assembramenti, per cercare di bloccare l’epidemia, non rinuncia a affollare pub e locali pubblici per prendere un aperitivo con gli amici o concedersi un week-end sulle affollate piste da sci. In un contesto del genere, con una risonanza mediatica così alta, pullulano fake news in men che non si dica. Su whatsapp sono circolate ricette tra cui bere bevande e mangiare cibi caldi per ammazzare il virus che sembrano riportarci nel primo capitolo del Decameron in cui Boccaccio ci racconta dei rimedi e delle credenze più assurde per ovviare al contagio della peste, tra cui fiori, erbe profumate e aromi che si credeva potessero ristorare il cervello. C’è di buono, però, che, mentre di fronte alla peste del 1348 erano pochi (servi e amici dell’appestato) che offrirono ai malati assistenza nei lazzaretti, di fronte al coronavirus si sono mobilitati nelle ultime settimane migliaia di medici e infermieri, che, lavorando giorno e notte e mettendo a repentaglio la loro salute, combattono negli ospedali questa dura lotta contro questo nemico che continua di giorno in giorno a diffondersi sempre più.  In una situazione del genere, bisogna notare come, di fronte a questi virus o pestilenze, non ha importanza la tua condizione sociale, se vivi una vita agiata o stenti ad arrivare a fine mese; la malattia ti colpisce e se, sfortunatamente, si aggrava, si cade nelle braccia della morte comunque. Pertanto paragonerei queste malattie a una livella, citando la famosa poesia di Totò, malattie che non guardano nel portafogli di nessuno per colpire, capaci di azzerare i divari economici tra le persone, rendendoci tutti indistintamente sue vittime. Vedendo tutte queste attitudini dell’uomo che ritornano nel corso della storia, i cosiddetti corsi e ricorsi storici di Giambattista Vico, mi viene da pensare che l’uomo perda il pelo ma non il vizio. Abbiamo una concezione lineare del tempo, crediamo che l’epoca in cui viviamo sia, sotto tanti aspetti, migliore della precedente, tuttavia i nostri comportamenti, in particolare quelli negativi, rimangono immutati. Di fronte a una situazione del genere bisogna cercare di andare avanti usando il cervello per uscirne tutti insieme, rialzandoci da questa débâcle sul piano economico e sanitario, ristabilendo la vita normale, proprio come accadde a Firenze dove, dopo aver lottato duramente contro la peste, si assistette a un rinnovamento culturale e una rinascita economica che portò la città dei Medici a diventare centro indiscusso di Umanesimo e Rinascimento.

Simone Bollini – Liceo Quasimodo, Classe 4E Linguistico

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