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UrbanaMente Giovani: l’emergenza coronavirus, un’occasione irripetibile perché la scuola aiuti i giovani a governare preziose fragilità

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Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

Oggi viviamo l’età del nichilismo.

Gli adulti, cresciuti con principi e valori diversi, sono intrappolati in un futuro che non appartiene loro, mentre i giovani, a cui i genitori non hanno saputo insegnare valori e principi perché ormai troppo mutati rispetto a quelli che avevano conosciuto, temono il futuro.

In questo modo il futuro, che dovrebbe essere l’incentivo della vita, diventa una pesante catena di ferro che ci ancora al pavimento.
Così, troppo spaventati per andare avanti, ci blocchiamo nel presente, ma non potendo la nostra anima, il nostro corpo, né la nostra mente accettare un simile stato di passività, abbiamo inconsciamente creato un nuovo mondo, il mondo della prestazione. In questo nostro mondo, ciò che conta è unicamente il risultato.

Infatti, obbligandoci continuamente a raggiungere dei risultati, siamo riusciti a ingannare la nostra anima, facendole credere di compiere ogni giorno grandi opere; il nostro corpo si sente continuamente in movimento, pur non andando in nessuna direzione, e la nostra mente si sente capace di esplorare infiniti orizzonti, pur restando intrappolata in un groviglio di ristagnanti pensieri.

In questo modo ci siamo creati l’idea di un io forte, invincibile, potente, ma non appena veniamo scossi da questa condizione di torpore intellettuale, le nostre deboli convinzioni si sgretolano per lasciare spazio a qualcosa di più vero: un io fragile.

La parola fragile, il più delle volte, richiama alla mente un’idea di debolezza o inutilità, quando invece, la parola fragile racchiude dentro di sé un senso e un’interpretazione ben più ampia.
Qualcosa di fragile è qualcosa che va protetto poiché prezioso, qualcosa da tenere con cura per preservarne la bellezza, e così gli aspetti fragili della vita diventano l’interiorità, le emozioni, le passioni, i legami; fragili poiché da custodire.

Ma nel mondo della prestazione, un mondo caratterizzato dalla forza, dall’immediatezza, dalla resistenza, non c’è spazio per la fragilità, o almeno non c’è fino a che non arriva qualcosa, un fattore esterno, che cambia le regole del gioco, un’epidemia ad esempio, come quella che sta toccando il nostro paese.

Infatti, quando ci risvegliamo dal nostro sogno, dalla nostra realtà, riscopriamo aspetti della nostra interiorità che da tempo, o forse da sempre abbiamo tenuto nascosti: la paura, la gioia, la compassione, sentimenti veri, non edulcorati dal nostro mondo immaginario; e così bambini, ragazzi, adulti, anziani si ritrovano di fronte a nuova realtà, ma non la sanno gestire.

Per questo, come quando ci si risveglia dopo un bel sogno, e strizzando gli occhi si cerca di riaddormentarsi per continuarlo, così tutti cercano disperatamente di tornare alla normalità.

Lo si vede chiaramente analizzando il comportamento delle istituzioni scolastiche.
Qual è il compito della scuola ? Istruire i ragazzi o formarli?
Perché la differenza è abissale: l’istruzione è il passaggio di contenuti da una testa all’altra, mentre la formazione è la cura delle fragilità di una persona.

Dunque la scuola dovrebbe insegnare ai ragazzi i valori, l’importanza dei sentimenti, la loro interiorità, il peso delle loro idee; ma purtroppo l’unica cosa che fa, quando ci riesce, è istruirli.

Di fronte a una situazione di emergenza e di paura come quella attuale, in cui cadono i muri di sabbia che ci costruiamo intorno per proteggerci, e in cui, ci piaccia o meno, escono le nostre fragilità, la scuola ancora una volta, seppure con il migliore degli intenti, rimboccatasi le maniche si è velocemente messa a ricostruire le mura di sabbia cadute, per illuderci che quello che stiamo vedendo non è il modo reale e che la normalità sta nel mondo che ci siamo costruiti.
Questa volta però, i muri non sono solidi, si sgretolano da soli, e tutti dall’interno possono vedere il mondo reale .

Noi ragazzi guardiamo con tenerezza lo sforzo fatto per non far cadere il nostro mondo di certezze, ma comprendiamo ormai come risulti per certi versi patetico questo infruttuoso tentativo.

Forse chi insegna lo ha dimenticato, ma noi negli anni dietro quei banchi abbiamo capito che il valore di un insegnante sta nelle sue fragilità. La sua passione, il suo carisma, la sua capacità di comunicare, come diceva Platone, si impara per fascinazione, per imitazione, per mimesi.
I ragazzi vanno sedotti con la cultura, apprendono attraverso lo sguardo del Maestro e dunque come può la didattica digitale, senza un corpo, senza una voce reale, senza che traspaiano i sentimenti  non essere mancante?
Noi comprendiamo come l’io fragile venga imprigionato da tutti per la maggior parte della nostra vita, ma non comprendiamo come anche di fronte all’evidenza di un simile errore, si possa continuare indisturbati ognuno nelle proprie convinzioni di un io forte.

Per questo, se per una vita intera la scuola non si è presa cura della nostra formazione, in un momento come questo, non può più tirarsi indietro.

E’ arrivato il momento di conoscere noi stessi, di avere delle idee, di provare dei sentimenti, di sentire le emozioni scorrere sotto la pelle.

Ma questa volta non vogliamo siano emozioni come l’angoscia per un compito in classe, la paura di un risultato non eccellente, l’ansia della prestazione. Questa volta vogliamo provare emozioni pulite e oltre a provarle vogliamo comprenderle.

Purtroppo però questo ancora non lo possiamo fare, perché la scuola ci ha imbottiti di concetti e informazioni nel tentativo disperato di prepararci a un futuro che nessuno conosce, non lasciandoci il tempo per fare ciò che ci permetterebbe di conoscere le nostre fragilità: leggere e scrivere.
Quando noi leggiamo,  impariamo non solo idee e concetti di altri, che ci permettono di ampliare la nostra visione del mondo,  ma soprattutto  impariamo parole, parole con cui possiamo esprimere idee e concetti nostri.
Proprio come sarebbe impossibile descrivere accuratamente un albero senza mai averlo visto, così è per noi impossibile comprendere le nostre fragilità senza avere le parole adatte per parlarne.

Allo stesso modo attraverso la scrittura esce la nostra soggettività, ma la soggettività non è valutabile e dunque quale valore può avere nel mondo della prestazione?
Un valore pressoché nullo: non importano le nostre idee, importa il risultato, il voto, che deve essere dato sulla base di qualcosa che può essere valutato.

Per concludere, nel mondo della prestazione, dove tutto ciò che conta è il risultato, l’empatia è stata completamente annientata dal bisogno, che ci è stato imposto dalla società, di essere migliori degli altri.
Il nostro valore dipende unicamente da questo.

Ecco perché ci viene insegnato che chi va bene a scuola vale più di chi va male, che chi ha tanti soldi vale più di chi ne ha pochi, ma non ci è stato spiegato mai da nessuno che il valore di una persona non può che dipendere da come la persona stessa si percepisce, e una persona vuota, che non prova emozioni o empatia, non può che valere nulla.

 

Stefania Aldieri

Liceo Quasimodo 4E Linguistico

 

 

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