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UrbanaMente Giovani: coltiviamo in questo tempo vuoto le passioni “inutili”

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Ci troviamo in un periodo di buio estremo, in cui emozioni, pensieri e sensazioni ormai abbandonate nel più dimenticato dei cassetti del nostro io, riaffiorano, senza chiederci il permesso, iniziando ad abitare le nostre giornate con una certa prepotenza.

E noi, quasi indifesi, lasciamo che questi ci pervadano e diventino i protagonisti delle nostre giornate. Ma tutto ciò è sempre visto come qualcosa di negativo.

L’essere fermi, riflessivi, dedicarsi a passioni inutili è un indugiare, un vaneggiare senza mai raggiungere qualcosa di concreto. Ancora una volta, il fantomatico coronavirus ha qualcosa da insegnarci.

Quando la normalità viene a mancare, il primo pensiero di tutti è cercare di riacquistarla in ogni modo, ma a volte, bisogna che la situazione considerata anomala faccia il suo corso.

Tutto ciò è ben visibile con la corsa alla didattica online: tutti i professori si sono attrezzati scaricando le applicazioni necessarie per potersi mettere all’opera il prima possibile, trasformando le assenze in “presenze”, che, a mio avviso, sembrano essere un po’ manchevoli.

Il professor Stefano Rossi si esprime a riguardo in un video, definendo la didattica online una didattica incompleta perché “i ragazzi imparano tramite il nostro corpo, abitato dal nostro sguardo”. Ed è proprio questo il punto: la mancanza di empatia.

Dunque, in questo momento di vulnerabilità sociale, è davvero necessario correre ai ripari con questi metodi digitali? Forse la risposta è no, e non perché manca la voglia di imparare, ma perché forse sono sforzi del tutto inutili. Piuttosto, in accordo con ciò che dice il professor Rossi, sarebbe più adatto un approccio diverso, cercando di trarre giovamento da questa situazione, tentando di spingere i ragazzi a dedicarsi ad aspetti diversi della scuola, che purtroppo, sono molto spesso messi in disparte: quali la lettura, la scrittura, la politica e nozioni di cittadinanza e costituzione per meglio capire come funziona il Paese in cui viviamo noi, e non altri.

Interessante sarebbe anche cogliere momenti della giornata in cui poter riflettere su ciò che ci fa sentire vivi, come dice il Prof. D’Avenia, che in questo periodo di solitudine ha deciso di condividere con il suo pubblico riflessioni molto profonde, a cui prestare molta attenzione.

Nel suo ultimo post spiega la differenza tra essere vivi ed essere pervasi dalla linfa vitale, che ci porta a scalare montagne con il solo pensiero. Ci fa ragionare su cosa davvero si basa la nostra felicità, le nostre passioni, ma soprattutto ci parla di vocazione. Un richiamo ad alzarci in piedi per inseguire e coltivare giorno per giorno le nostre “passioni inutili”, perché rendendoci vivi ci chiariscono come poter abitare la vita come qualcosa che davvero ci appartiene, proprio come dice il verbo “abitare”, “habere”, avere. Non lasciamo che la nostra vita sia solo un processo biologico che cadrà nell’oblio, senza averla davvero stretta tra le mani.

Foscolo diceva che si restava immortali con l’arte, e ognuno di noi se vuole può essere artista della propria vita. Lasciamo che la nostra “perdita di tempo” porti a qualcosa di notevole per la nostra crescita interiore, abbattendo muri immaginari del nostro animo, lasciando che anche la fragilità prenda posto nella nostra vita di invincibili supereroi a cui non sono permessi momenti spensierati, perché infruttuosi.

In fondo, come diceva Massimo Troisi, il tempo più bello è quello perso.

 

 

 

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