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Dall'archivio:

‘Uè nan, va che mi u laurà dal Peck, 40 ann fa’..’ In ricordo di Antonio Fasani, macelar de Bià

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Il nostro omaggio al ‘macelar’ morto improvvisamente questa notte

 

ABBIATEGRASSO – ‘Uè nan, ma par chi l’è che ta me ciapà? Va chi mi, in dal setantun, laurevi dal Peck in via Spadari.. Sum minga un perdaball..’

E giù un sorriso a mezza bocca, come nel suo stile, naturaliter elegante, dotato di grazia anche mentre tagliava, andava giù di coltello, sceglieva le sue amate carni, selezionava i formaggi.

Antonio Fasani, macelar biegrassin, custodiva geloso nel suo emporio-macelleria di passaggio Centrale la piccola, curata, ricercata bottega di delizie.

Qualche primavera fa, era sabato, credo il mese di maggio, dovevo andare a pranzo da una bellissima figliola bionda dagli occhi azzurri, a Melegnano, poco più che ventenne. Io veleggiavo verso i 40.

Entro dall’Antonio e gli spiego la situazione. Mi serve due fette di roast beef, tagliate alte, dal colore invitante come le cosce della Bardot, e due formaggi francesi. Neppure quattro etti, erano di capra.

Mi disse il prezzo e scherzando gli dissi ‘casù, ma custeva men un urilocc’ (orologio per i non autoctoni), e giù una risata.

‘Uè pirla, par i donn da prima ga vouer roba da prima, sunel!’, rispose prontamente l’Antonio.

Aveva ragione lui. Quel roast beef sembrava arrivato direttamente da un allevamento del Cielo, i formaggi erano dolci e soffici, il vino in accompagnamento fece il resto. Era un pomeriggio di sole caldo, pranzammo nel suo cortile. Quel sorriso, quegli occhi, quella leggiadria voluttuosa, invitante, avvolgeva magicamente dei momenti che sembravano usciti dal favoloso mondo di Amelié o dall’Abbuffata di Marco Ferreri. Indimenticabili.

Finì nel migliore dei modi, anche grazie all’Antonio. Le donne, prendile (anche) per la gola..

Qualche mese fa, l’ultima occasione conviviale insieme: un pranzo gentilmente offerto dalla filiale abbiatense di una importante società finanziaria, con due bon vivant del calibro di mio cugino Nicola Cesati e monsù Teresio Cattaneo. Poco prima, avevo visto troneggiare dalla vetrina dell’Antonio due bottiglie che mi avevano fatto sobbalzare: ogni volta che passavo (di fretta) dal Comune, deviavo per rimirare la vetrina dell’Antonio. Le sue mostarde luccicanti, i prosciutti esposti come quadri, le costate invitanti persino per il più irriducibile dei vegani: doppia ‘boccia’ di Darmagi 1997 di Angelo Gaja, vino mistico perché il re del Nebbiolo decise di interpretare, con quel vino ch’era un rimando al dialetto langarolo, il Cabernet Sauvignon. 

L’Antonio l’aveva trovato da uno che in pratica lo svendette, e lo propose a un prezzo eccezionale: 125 euro l’uno, contro un prezzo di mercato del doppio o del triplo.

‘Casu Antonio, che presi.. Ta ga ne duma un pari o pussè?’, e gli si leggeva la gioia in faccia.

Allora prende il cellulare, contatta un numero misterioso, non mi risponde neppure e lo sento- mentre ci dirigiamo a Quistello, dai fratelli Tamani- mentre fa la cosa che gli riusciva meglio: trattare l’acquisto di qualche perla alimentare.

‘Cuse che ta ghe? Una casa? Da ses? Duma vuna? A quanto? Fabrizio, a cendes euro ta dis che l’è da ciapà?’

‘Casu Antonio, a cal presi lì ta cunvegna ciapà al negosi..’

L’Antonio Fasani da Biegrass, che s’era fatto le ossa ‘dal’ Peck in via Spadari, a due passi dal Duomo de Milan,  agli albori dell’epoca in cui i fratelli Stoppani realizzarono il più luccicante e sfavillante antro di delizie prima di Eataly (ma Peck era moooooolto più caro: una costata, del formaggio, pezzo di pane e bottiglia da 37.5,  nel 2010, alla modica cifra di oltre 100 euro), era un macellaio coi controcazzi.

A 66 anni ne aveva accumulati 50 e più di bottega. E si vedeva. Dai particolari, come quella vaschetta di polenta taragna che presi l’anno scorso. Deliziosa.

Era generoso, l’Antonio. Appassionato della sua città. Quando gli parlai degli emergenti ed appassionati Alisia e Mirco, dell’Osteria Santa Maria, mentre affettava con grande maestria del San Daniele stagionato ricordo che disse ‘chi du fioeu lì in propri bonn da laurà, e ca la tusa lì l’è bela e brava’. 

Non ricordo e neppure conosco il dettaglio delle volte che si spese per la sua Abbiategrasso, a cui io ho sempre contestato- da non abbiatense- un certo eccesso di provincialismo. Che però ho imparato nascere da uno smisurato amore.

Alle ultime elezioni si candidò con Luigi Tarantola: l’ho appreso leggendo il pezzo di Marco Aziani, non me lo ricordavo neppure. Se l’avessi saputo a maggio, sarei passato e l’avrei simpaticamente preso per i fondelli: ‘Te propri fai una pirlada, Antonio..’ Ora penso di aver capito perché Tarantola è andato ben oltre i miei pronostici, pur non avendo vinto.

Sarà il caso di iscrivere presto il nome di Antonio Fasani nel Famedio dei grandi ‘ bottegai gourmand’ di Abbiategrasso, dall’Angelino Repossi all’Attilio Besuschio, benché all’Antonio sia stato concesso meno tempo.

E adesso chi ce l’affetterà così magistralmente, il San Daniele 30 mesi? Toccherà che qualcuno, e in fretta, cerchi di fare quello che Antonio Fasani ha sempre fatto. Lavorare al meglio, per se stessi e per gli altri.

Ciao Antonio, quel brindisi col nettare di Angelo Gaja prima o poi lo faremo, in tua memoria.

‘A l’è un darmagi..’

So long per te, Antonio.

Fabrizio Provera

 

 

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