Uccelli, vino rosa e Woody Allen. In viaggio con Camilla Garavaglia verso Lione (più o meno)

Il fatto è che ho scoperto troppo tardi che Woody Allen e la sua jazz band avrebbero suonato al Blue Note di Milano e a Villa Ada a Roma e, trovando entrambi gli eventi sold out, ho deciso di puntare su altre tappe europee del tour

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Ho in mano due bicchieri di plastica pieni di vino rosé della Provenza, più un cartoccino in plastica con delle patatine fritte che tengo con la punta delle dita perché non mi cadano tutte a terra. Il primo bicchiere è per me e il secondo è per il mio autista che ha attraversato la Savoia e lo Jura per portarmi fino a qui, in questo parco ornitologico a 40 chilometri da Lione. Il mio autista sono io.

Appena riesco a trovare un punto in cui appoggiare i due bicchieri, mi rendo conto che la folla sta per prendere posto sui sedili di fronte al grosso palcoscenico davanti allo stagno (l’unico palcoscenico al mondo che meriterebbe l’espressione “nella splendida cornice”. Chissà chi è stato il primo ad usarla? Scommetto un addetto somaro di un ufficio stampa) e siccome per una volta vorrei trovarmi a un concerto nei primi posti e non in fondo o di lato, butto giù il primo bicchiere di vino – liberandomi così una mano – e mi metto in coda.

Non c’è niente di eroico nel guidare 6 ore, 6 ore e mezza da sola fino a Villars Les Dombes, un paesino che è un piacere guardare sulla mappa perché è perso tra centinaia di piccoli stagni e che si trova a 20 minuti di treno dal centro di Lione.

Il fatto è che ho scoperto troppo tardi che Woody Allen e la sua jazz band avrebbero suonato al Blue Note di Milano e a Villa Ada a Roma e, trovando entrambi gli eventi sold out, ho deciso di puntare su altre tappe europee del tour per poter vedere finalmente dal vivo l’autore dei film che guardo e riguardo più spesso.

Villars Les Dombes, più poetico e meno banale di Barcellona e Parigi, mi è sembrato da subito una buona idea.

Giornalista che hai scritto che Woody Allen suona come una papera, in nome del cielo: perché al Blue Note hanno dato l’accredito a te e non a me? Sì, mi piace Woody Allen.
I più scaltri di voi potrebbero averlo già notato solo guardando la copertina della mia newsletter (bravi, a voi non la si fa).

Mi piace come regista, per quanto ne possa capire di regia, ma mi piace anche come personaggio: mi fa ridere, lo trovo geniale e il suo libro “A proposito di niente” (ne ho parlato qui, clicca dai) mi fa sempre sentire molto indignata nei confronti di Mia Farrow, delle sue malefatte e dell’ottuso puritanesimo americano che preferisce cancellare piuttosto che provare a capire.

Woody Allen in realtà si chiama Allan Stewart Konigsberg (ma che meraviglia i nomi d’arte) e questo è di per sé già un indizio: il nome Woody viene scelto in onore di Woodrow Herman, un clarinettista americano molto famoso e molto amato dal giovane Allan. Anche nel suo libro/autobiografia, Woody Allen parla spesso dei suoi film con apparente disinteresse – del resto, fare film per qualcuno è un lavoro come per altri è un lavoro sfornare il pane o inviare 730 – e si rammarica, invece, di non aver tentato seriamente la carriera di clarinettista jazz.

Lo so, è un cortocircuito: chi va a vedere Woody Allen, principalmente lo fa perché fan della sua carriera di regista (secondariamente, perché i musicisti che lo accompagnano hanno davvero i controcazzi) e non perché lo reputi un grande jazzista. Woody Allen lo sa molto bene, ma probabilmente se ne frega e anzi cavalca volentieri la nostra parafilia per i sui film spillandoci soldi per pararsi davanti a noi e suonare il piffero.

Prima di raccontarvi come è andata, e se mi è piaciuto, e se è stato o meno emozionante, vi sottopongo un quiz di due domande. Le risposte sono in fondo alla newsletter.

A. Il candidato associ la nazione corretta, Francia o Italia, a questi frammenti di articolo successivi al concerto di Woody Allen a Milano e a Villars Les Dombes:

Woody Allen ha incantato il pubblico con più di 1.200 brani influenzati da melodie popolari dell’inizio del XX secolo, spiritual, blues e rag.

Gli intenditori riconosceranno anche certi tocchi sapientemente disposti in omaggio ad artisti come Sidney Bechet, George Lewis, Johnny Dodds, Jimmie Noone e persino Louis Armstrong, a cui il regista è particolarmente affezionato.

«L’arte del pernacchio». «Come nei suoi film tragicomici». «Aveva il clarinetto tappato». «Sta facendo una parodia». «Chi ha lasciato uscire le anatre?» (…) Tra i tanti commenti, anche la testimonianza di una donna che era nel pubblico. «Ero al concerto e sono stata una delle prime ad andarmene, il biglietto costava molto e sono delusa moltissimo» racconta.

B. Il candidato associ la performance corretta – Blue Note o Villars Les Dombes – al prezzo del biglietto al pubblico:

150 euro

65 euro

Come è andata
Lo stagno del Parc des Oiseaux illumina il palcoscenico di luce riflessa: quella del sole, che diventa rosa come il mio vino e poi indaco e ultravioletta (ultraviolenta, come avrebbe detto la nonna se fosse stata qui), poi l’acqua diventa una distesa placida di velluto su cui si posano le rane, le libellule, le 250 specie di uccelli che qui vivono, e beati loro.

Le persone silenziose sui gradoni di cemento, i sussurri in francese, gli applausi. La musica, solo quella, qualche risata educata e poi altri applausi. La processione verso l’uscita, le chiacchiere con Jean Louis – non lo so mica il francese ma lui, professore di Storia all’Università di Lione, ha insegnato a Bologna per anni – e sua nipote, le stelle sopra la mia auto, stanca per tutti i chilometri, e l’attesa con sigarette francesi fuori dal parco perché chissà mai che Woody Allen non passi di qui per andare in albergo.

(non è passato).

Come è andata?, è andata bene.

Mi chiedo spesso se le cose che facciamo le facciamo per essere felici (anche solo per mezz’ora) o se invece le facciamo per legittimarci. Volevo essere davvero lì a vedere Woody Allen suonare o sono andata a vedere Woody Allen suonare in un posto fino a quel momento a me sconosciuto perché nella mia testa sono quella persona lì, quella che attraversa il Frejus* il traforo del Monte Bianco e prenota un hotel di merda senza personale con apertura a codice ma il codice non c’è e allora arriva il personale a parlare in farfallino fino a che tutto non si sistema ma è tardi ed è tutto chiuso e allora salta la cena e “meno male che sono partita il giorno prima del concerto santiddio”?

Rispondo sinceramente: la prima. Però ascoltare ciò che la nostra testa ci dice riguardo a chi siamo davvero ci fa vivere dei gran bei viaggi. E mangiare dei pain au chocolat inattesi in un altrimenti ordinario mattino di settembre.

Il mestiere di chi sforna pane e il mestiere di chi fa film
Risposte al quiz: A: 1 Francia, 2 Italia. B, l’opposto della precedente. Ma continuiamo pure a sentirci migliori dei francesi.

* Ah, giusto. A Lione sarei dovuta andare in treno ma poi c’è stata la frana che ha interrotto le comunicazioni su binario tra i due stati e quindi automobile. Sia messo agli atti che le mie intenzioni iniziali erano un po’ meno avventurose.

di Camilla Garavaglia

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