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Tyler Bryant & The Shakedown – “Roots” (2022). By Trex Roads

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Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

Sono passati ormai quasi 10 anni dall’esordio di questa ancora giovanissima band, oggi siamo al quinti disco e l’acqua sotto i ponti passata è veramente tanta.
Tyler Bryant da Tyler, Texas ha raggiunto con il suo gruppo il successo vero, quello che tutti i giovani artisti sognano: contratto discografico importante, dischi che fanno il botto e tour con i mostri sacri (AC/DC, Guns ’n’ Roses, Aerosmith, Tom Petty).
 

 

La musica proposta dal trio (completato da Graham Whitford alla chitarra ritmica e Caleb Crosby alla batteria) è sempre stata una scarica elettrica, quel blues del passato avvolto in un involucro di metallo che ti sconvolge le budella e dal vivo è deflagrante.

Tyler diviene la nuova speranza del rock americano, un chitarrista dal talento eccezionale che fa viaggiare le sue mani sulle corde come i grandi del passato.

Le tourneè infinite che attraversano anche l’Oceano e arrivano in Europa, il successo che ti pone sulla mappa delle grandi band e che ti sfianca, ti toglie ispirazione e forse quando ti guardi allo specchio non riconosci più quello che ti ha spinto alla vita del musicista, dell’artista.

Questo e tanto altro dopo 14 anni di vita dei TBTSD, hanno portato la band a prendere una decisione che pareva un azzardo, un salto nel buio e nell’incertezza che però è il sale della vita: lasciare la casa discografica e diventare indipendente.

Una scelta che ultimamente tante band decidono di fare e spesso con risultati eccelsi, come è accaduto con questo Roots, il cui titolo è esplicativo sul cosa questi ragazzi cercavano nella loro nuova visione della vita artistica: le loro radici.

Fondata la loro etichetta, la Rattle Shake Records, il passo successivo è un nuovo album e le 12  canzoni che compongono il disco sono adrenalina pura, un viaggio a tutta velocità senza dimenticare il passato e la foto di copertina suggerisce che la chitarra nelle mani di Tyler sarà molto importante in questo processo: una chitarra resofonica, come un bluesman della Louisiana.

Il disco parte subito con una scarica elettrica,  Bare Bones è slide, è resofonica, è groove che non ti molla mai. La voce di Tyler è perfetta, rock e intensa, ma il segreto sono i cori che gli danno un’impronta blues soul da juke joint.

La successiva Ain’t None Watered Down è la mia preferita del disco, scritta assieme alla moglie Rebecca Lovell (cantante e chitarrista delle Larkin Poe, altra band emergente che fareste meglio a tenere d’occhio), è un blues che viene dalla Louisiana è sulla sua strada incrocia il rock di Tom Petty, trascinato, trascinante e dannatamente sporco. La chitarra resofonica è delizia per le orecchie, il groove ti avvolge come una calda coperta di lana, mentre l’elettricità statica ti scuote tutto.

Non fai in tempo a gustarti la sensazione e arriva Ghostrider che è hard rock puro, un’energia senza freni che raggiunge l’anima e ti fa immaginare che dal vivo questo pezzo incendierà i palchi di mezzo mondo.

Questi ragazzi dimostrano che il futuro del blues e del rock, il futuro delle band che con il sudore e la passione portano avanti le loro idee, è più che roseo. E’ stata dura farsi largo fra la spazzatura che le radio mainstream (e le tv dei reality) continuano a sparare 24 ore su 24, ma quando escono band come i Tyler Bryant & The Shakedown il cielo si rischiara e gli amanti della musica di qualità possono gioire.

Ascoltate Hard Learned, quella chitarra dal sapore blues, ma avvolta nella polvere del deserto, che vi rapisce. Così vintage, ma così fresca e attuale, la canzone ha in sé l’epica di un film western e la bellezza di una canzone del blues dei Padri.

Le scosse elettriche che attraversano l’ascolto di Shackles sono devastanti, solcano l’aria e la scuotono, il ritmo si fa pesante e anche qui si sfiora l’hard rock, ma sempre con un occhio vigile alle radici che esplodono in tutta la loro folgorante bellezza in Tennessee. Chitarra resofonica, ritmo divertente e quel blues che abbraccia il country con la bellissima voce di Tyler che ci guida nel viaggio dalla Louisiana al Tennessee. Bellissima.

Emozionante e di una bellezza disarmante anche Good Thing, malinconica e avvolta da un suono di chitarra fantastico, il groove non manca e la prestazione vocale di Bryant è la ciliegina su questa torta che si avvolge di chitarre elettriche ed esplode nel finale. Mai banali o prolissi, tutto si incastra alla perfezione, come nella seguente e ironica Sell Yourself, ancora chitarre, ancora groove e melodia come nei migliori pezzi dell’hard rock anni ’70.

Il disco si chiude in maniera perfetta, così come era cominciato, con Midnight Oil, con un blues rock assassino, il fantasma di Tom Petty aleggia anche qui approvando un pezzo che dimostra ancora di più l’abilità di Tyler Bryant non solo come chitarrista eccelso, non solo come cantautore dal talento unico, ma anche produttore dall’orecchio fino. Non si sbaglia un arrangiamento o un suono e si va dritti all’obiettivo di confezionare un disco dall’anima paludosa, ma dal cuore elettrico, con un groove dalla bellezza scintillante anche se sporco di fango.

Loro hanno imparato la lezione delle grandi band con cui hanno condiviso il palco in questi anni e l’hanno personalizzata, diventando etichetta di loro stessi, voi andate e scoprite una band che non vi lascerà indifferenti e se amate il rock di qualità non indugiate oltre, premete play e lasciatevi scuotere, emozionare ed elettrizzare da un disco che merita di stare fra i più belli di questo lungo e fruttuoso 2022.

 

Buon ascolto,

Claudio Trezzani by Trex Roads  www.trexroads.altervista.org

(nel blog trovate la versione inglese di questo articolo a questo link: https://trexroads.altervista.org/roots-tyler-bryant-and-the-shakedown-2022-english/

 

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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