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Dall'archivio:

Turbigo: addio Lucia, stai serena che torneremo. Perché, senza i bar, sarebbe una vita di merda

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Il vino è il canto della terra verso il cielo (Luigi Veronelli)

TURBIGO – Dicono, ma ormai le parole si perdono nel tempo, che a una delle feste per amici che Giacomo Bologna dava regolarmente nella sua casa-cantina-vigna-enclave-alcova di Rocchetta Tanaro, da dove sono partite verso la conquista del mondo le più grandi Barbera d’Asti della storia (Bricco dell’Uccellone e Bricco della Bigotta), una sera capitò Luciano Benetton.

Erano tavole da 50, 70, anche 100 persone, che finivano regolarmente alle ‘meno venti’: nel senso che, con un inizio sempre fisso attorno alle 20, si protraevano sino alla mattina successiva. Cinque meno venti, sei meno venti, sette meno venti…

Quella sera, mentre dalla taverna passavano vignaioli, conti, nobili, puttane, affarisiti, giornalisti, biscazzieri, preti, cantanti, artisti (Diego Abatantuono,  Bruno Lauzi, Gino Paoli, Paolo Massobrio, il grande Gino Veronelli, il conte Riccardo Riccardi di Santa Maria di Mongrando, che conobbi la prima volta nel 1998: alle 10 del mattino, ricordo, ordinò al cameriere esterrefatto una bottiglia di Gavi..), a Benetton fecero bere camionate di vino.

Verso mezzanotte the Big Jack- al secolo Giacomo Bologna- gli chiese ‘qual è il tuo vino preferito, Luciano?’, e lui disse ‘Chateau Lafite’ (forse, il vino più leggendario e famoso del mondo), e ovviamente Giacomo ne aprì una bottiglia da 5 litri, con cui all’epoca (parliamo del 1987, forse 88) ci si comprava un monolocale. Oggi, chissà..

Beh insomma Benetton beve, beve.. e a un certo punto s’appisola, o sviene, non si è mai saputo. Si sveglia verso le 6 (meno venti..), e a un freschissimo Giacomo Bologna, intento a sparecchiare, dice ‘ma io ho un aereo da prendere…’, e lui ‘tranquillo Luciano, ti portiamo noi.  Cosa vuoi per colazione?’, ‘beh di solito mangio un uovo al tegamino’, ‘perfetto, e da bere?’, ‘scusa Giacomo, è mica rimasto del Lafite?’, ‘ma certo, eccoti un bicchiere’.

E fu così che, una mattina di post sbornia leggendaria, Luciano Benetton fece colazione con uova al tegamino e Chateau Lafite.

Una decina di anni dopo (era il 2000), nel retro di un bar a Turbigo, il Caffè Italia (successivamente ‘evoluto’ in Caffè Italia- Corte del vino), il sottoscritto e il suo sodale Cristiano si riunirono (un lunedì sera) per pasteggiare a cassoeula e champagne. A tavola chi ci aveva invitato, Marco Colombo, il marito di Lucia Tapella, i cui genitori furono i primi ‘gerenti’ del bar, incistato nella storia di Turbigo come ci ha sempre ammonito il nostro Giuseppe Leoni.

La prima volta che varcai la soglia del bar, tra me e me dissi ‘ma questo è un bar del cazzo..’. Poi però andammo nel retro, dove Marco e Lucia stipavano migliaia di bottiglie, con al centro una sorta di caveau, un piccolo locale (chiuso a doppia, tripla mandata..) dove dagli scaffali silenti ti guardavano i Baroli i Barbareschi di Angelo Gaja, i Krug, i Cristal, i Dom Perignon. E molto altro.

Cenammo da quelle parti, credo con del Taittinger (e molto altro, che ora non ricordo…). Fu allora, a 20 anni fa, che risale la nostra amicizia con Marco e Lucia, dacché il figlio Pierfrancesco era un bambino, mentre oggi è un giovane uomo cui tocca caricarsi un gran peso sulle spalle, che dovremo tutti aiutare a reggere.

Marco, dei turbighesi, aveva preso la vena di ‘capatosta’: gente strana, quella di Turbigo, riservata ma generosa, umorale, fantasista. Detto più prosaicamente, spesso con un carattere della minchia. Se penso ai turbighesi che conosco, non potrei catalogare nessuno tra i ‘normali’, o così detti.

Abbiamo trascorso serate leggendarie al Caffè Italia, sbocciando  cose vecchie, a volte vecchissime, introvabili. Abbiamo insomma cercato di ricreare, in piccolo, quello che per anni avvenne a Rocchetta Tanaro.

Lucia mi ha sempre colpito per l’ottimo palato sugli Champagne (non li beveva tutti, ma beveva quelli buoni e sapeva riconoscerli) e l’enorme passione, e conoscenza, della cioccolateria artigianale italiana.

Streglio, Peyrano, Maglio, Bodrato, Caffarel, Gobino: quando nel 2006 il locale venne completamente rifatto (con un’epica esibizione dei Gamba de Legn, dall’elevato tenore alcolico…), facemmo grande festa (e bisboccia).

Negli anni le cose sono cambiate, i locali come quello di Marco e Lucia sono aumentati in numero (20 anni fa, prima del boom enologico italiano, certe bottiglie le trovavi solo a Turbigo, o a Milano. Poi si aggiunsero i bravissimi fratelli Galimberti-Maggiolini, a Bareggio), ma noi ci siamo sempre tornati. Beh certo, magari un po’ meno ultimamente. Passano gli anni (e le fidanzate, e le concubine), si esce meno la sera, i 27 anni diventano 30, e poi 40, e poi 45.

Ma per anni, a Natale, non c’era pranzo della festa sulla tavola dei miei cugini di Abbiategrasso (dove trascorro tradizionalmente il 25 dicembre) senza le grandi maison di champagne che Marco e Lucia ci facevano trovare (ricordo dei superbi Alfred Gratien Rosè, Dom Ruinart 1986, un epico Krug 1988).

La notizia del male che aveva aggredito Lucia ci aveva colto in un’imbarazzata sorpresa, dopo che per lungo tempo anche Marco aveva vissuto il suo calvario.

Ma noi tornavamo, anche solo per farci canzonare dall’Enrico Cagelli, bon vivant e maschera turbighese, volato anche lui in Cielo da qualche tempo-

Con sguardo attento dal suo solido avamposto, è stata un’imprescindibile testimone delle necessità e delle virtù della comunità tutta, ha scritto ieri monsù Leoni, nel suo inconfondibile italiano da ‘cesellatore’ di storia locale, perennemente corrucciato dal 1995 (anno in cui lo conoscemmo), tranne quando assiste ai discorsi di sua figlia Manila, mia coscritta e vicesindaco.

L’ultima volta.. L’ultima volta (qualche mese fa) sono stato da Marco, Lucia e Piffo assieme a mio fratello Christian Garavaglia, primo cittadino (inter pares) e sodale di cameratismo politico di lunga data. Sarei voluto tornare a Natale, ma dopo aver visionato gli esami del sangue il mio medico (inspiegabilmente..) disse con educazione che era il caso di darsi una regolata. Eppure ho sempre bevuto vini e distillati di qualità. Mah…

Di quella domenica a mezzogiorno ho un ricordo nitido. Salame, birra eccelsa (tanta birra), i formaggi di Giovanni Guffanti (che a Turbigo non sono mai mancati), i classici sfottò tra me, Marco e Piffo (‘se avete ancora del vino decente lo bevo, se avete del vino del cazzo datelo pure a chi non capisce un cazzo, che tanto amici coi vini buoni ne conosco tanti’), e giù una sfilza di offese))).

‘Fabri devo correggere i compiti dei miei studenti, non posso bere troppo’, mi diceva a bassa voce Christian, ed io a sorridergli come per dire ‘fratello mio ma che cazzo te ne frega..Io devo scrivere, e quando scrivo da ciucco scrivo le meglio cose’, e giù un altro bicchiere, e stappa un’altra bottiglia Piffo, ‘ma non darci una cazzo di Moretti o una Beck’s, senno le lancio sull’allea’, ‘ma va a cagare Fabrizio, va’….

E’ da ieri- appresa la maledetta notizia-  che fisso la confezione di Tagliatelle integrali di Allemandi, celebre maison ‘pastiera’ di Carrù, che troneggia a fianco dei fornelli: è stata l’ultima cosa passata dalle mani di Lucia alle mie, lo scorso autunno.

Assieme a qualche cioccolatino delizioso che avevo sgraffignato (pagavo un conto alto, mi presi la libertà, Lucia non avrebbe mai detto no..) da quel deliquio di cioccolateria inusuale, per un bar di paese, che cinge la cassa e il banco come le braccia di una sensualissima ragazza mulatta ti cingono la mattina, quando dalla finestra socchiusa entra il sapore del mare, tutt’attorno è silenzio, e tu rimiri quei glutei carnosi, scuri e scolpiti dal Michelangelo dei cieli (la donna non può che essere invenzione divina), ringraziando il Cielo per averti concesso la gioia di bearti con un siffatto culo.

E’ stato Christian, ieri mattina, dalla sua quarantena di cui presto spezzerà le catene (il virus è già scappato, e un iperattivo come lui presto riapparirà col mantello di Superman) ad avvisarmi.

E adesso, che il maledetto bastardo ci impedisce persino di seppellire cristianamente e ritrovarci assieme per la preghiera della messa di suffragio, ci restano i ricordi.

Assieme alla certezza che torneremo, presto, perché la memoria di chi ha presidiato per tutta la vita il ‘proprio’ bancone si onora in un modo soltanto: tornando ad appoggiare i gomiti su quello stesso bancone, fatto della materia di cui sono fatti i sogni.

Quindi a presto ragazzi, e che non ci sia spazio per la tristezza o le lacrime, come ci ha insegnato Giacomo Bologna che poco prima di morire diede una grande festa alla clinica Madonnina di Milano, offrendo costine di maiale e Barbera a tutti, compresi medici esterrefatti.

E perciò Marco vediamo se hai ancora qualche bollicina buona, che non sia addizionata di bicarbonato, e tu Piffo cerca di non provare neppure a rifilarci una Moretti e una Beck’s. Che altrimenti le lanciamo sugli alberi dell’Allea.

Un abbraccio ragazzi. Ciao, Lucy.

Fabrizio Provera

E Cristiano, Nicola, Damiano, Bobo, le nostre fidanzate e quelle non ufficiali che avremmo voluto portare e non abbiamo portato, altrimenti quelle ufficiali si sarebbero incazzate (o insospettite)

 

“Ti ho visto la prima volta, mille anni fa, al tavolo della tua osteria e subito ho pensato che i contadini mangiano e bevono attenti perché rendono omaggio alla roba e salutano il vino ch’è costato tanta fatica”. Gino Veronelli

 

 

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