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Trent’anni dopo, la Cina realizza il piano di Bettino Craxi per l’Africa

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Bettino Craxi trent’anni fa proponeva due soluzioni per evitare le migrazioni di massa, per risolvere i problemi della fame e della guerra e per dare una concreta prospettiva di sviluppo ai paesi africani: Un grande piano Marshall e la remissione dei debiti dei paesi africani non in grado di ripagarlo. Ne parlò in modo estremamente chiaro e dettagliato, tra le tante occasioni, durante il famoso discorso tenuto all’Università di Urbino il 20 dicembre 1990. 

Ebbene si, dopo quasi trent’anni di silenzio e bombe dal mondo occidentale, è proprio Xi Jinping che sta tentando di mettere in pratica queste due soluzioni. Il leader cinese, riproponendo la stessa cifra di tre anni fa, ha attivato prestiti per 60 miliardi di dollari, 15 saranno di aiuti e prestiti a interessi zero, 20 in linee di credito, 10 per un fondo speciale per lo sviluppo, 5 per le importazioni dall’Africa e altri 10 per progetti privati delle imprese cinesi. Ma attenzione, i prestiti cinesi non sono come quelli fatti in passato dal FMI, ovvero subordinati a ricatti ai governi affinché attuino politiche di privatizzazione delle materie prime e delle industrie strategiche, bensì sono finalizzati alla costruzione di infrastrutture fondamentali, da ferrovie a moli, da strade a industrie. Come possiamo apprendere dalla storia della politica estera cinese, il gigante asiatico non è solito metter bocca nella politica interna dei suoi partners, anzi tutto il contrario.

Al Forum sulla cooperazione Cina-Africa oltre che ringraziare il Presidente cinese, alcuni leader africani hanno espresso timori sul sovraindebitamento dei paesi più deboli, immediatamente rassicurati dalle promesse di Xi Jinping sulla cancellazione dei debiti inesigibili. Altri leader hanno espresso timori sul fatto che i loro paesi esportano materie prime in Cina e importano prodotti finiti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

È evidente che la Cina ha comunque i suoi vantaggi a lungo termine. Anche se buona parte di questi prestiti hanno tasso pari o vicino allo zero (motivo per cui sono stati definiti “regali”), sono finalizzati alla costruzione di infrastrutture che saranno inserite all’interno della “nuova via della seta”. Altrettanto innegabili sono gli enormi vantaggi dei popoli africani che riceveranno infrastrutture base per lo sviluppo economico, e un enorme bagaglio di know how che avvierà una serie di processi a catena necessari per lo sviluppo tecnologico e sociale dei paesi bersaglio e dei loro vicini. Sono e continueranno ad essere accesi piccoli focolari di speranza in diverse zone dell’Africa, da una costa all’altra.

E l’Europa cosa fa? Cosa fa la Francia che ha più di ogni altro paese portato distruzione e miseria dalla Costa d’Avorio al Mali, dal Congo al Burkina Faso, da Gibuti al Ciad, dal Gabon alla Repubblica Centrafricana, dal Camerun al Togo, dalla Nigeria all’Angola e al Sudan? Quella Francia che nel 2011 ha deciso di bombardare la Libia di Gheddafi causando danni irreparabili al continente africano e a quello europeo? E noi che facciamo? Durante la crisi petrolifera degli anni ’70 i nostri politici, tra cui Aldo Moro, facevano numerosi viaggi al mese nei paesi africani e mediorientali per fare accordi bilaterali finalizzati al controllo del prezzo. Durante le guerre degli anni ’80 Craxi e Andreotti non facevano altro che fare continue telefonate e visite a quei leader per stringere rapporti di amicizia. Quando i nostri attuali ministri inizieranno un via vai di viaggi tra Egitto e Russia per tentare di risolvere la crisi libica e per ristabilire rapporti con i nostri vecchi amici dell’Africa subsahariana, del Corno e del Maghreb? 

Luca Pinasco, www.ilmediterraneo.org

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