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‘Sulla mia pelle’, il film su Stefano Cucchi. Il racconto di Emanuela Arcidiacono

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Al Festival del Cinema di Venezia, è stato presentato il film di Alessio Cremonini ‘Sulla Mia Pelle’. Insignito di un ingente numero di premi, il film, con la magistrale interpretazione di Alessandro Borghi, narra la vicenda di Stefano Cucchi, arrestato nel’ottobre del 2009 e morto esattamente una settimana dopo il suo arresto, nella struttura sanitaria dov’era detenuto.

Alessio Cremonini ha rappresentato le oltre dieci mila pagine degli atti dei processi, senza giudizi, senza colpe, quasi senza accuse. Alessandro Borghi, dimagrito oltre venti kg per meglio rappresentare il giovane geometra, non interpreta la sua sofferenza ma la incarna, anche fisicamente, come se fosse la propria. La disperazione che traspare dalle immagini arriva allo spettatore, come un pugno nello stomaco. Il tam tam del Web aveva preannunciato l’uscita di questo film ed il clamore che avrebbe suscitato. Personalmente, dal 12 Settembre, stavo aspettando il momento giusto per vederlo. Ero certa che non mi avrebbe lasciato indifferente, ma non immaginavo quanto profondamente mi avrebbe colpito. Per alcuni minuti ho dubitato perfino di essere in grado di arrivare alla fine. Dopo essere stato arrestato, Stefano Cucchi, condotto nella caserma dei carabinieri, viene scortato per le foto segnaletiche e Cremonini lo mostra allo spettatore costretto ad entrare in uno stanzino, da quale uscirà pesto, col corpo ricoperto di lividi, fisicamente provato e dolorante. Nessuna scena di violenza è palesemente rappresentata, ma quel cambio di scena, quell’attimo di buio, quel silenzio, impongono allo spettatore di trattenere il fiato, sentendo il dolore, sulla propria pelle. Da questo momento partirà la narrazione del calvario di Cucchi. Alessandro Borghi sembra riuscire a reggere da solo l’intero film. La scena con la richiesta al padre di abbracciarlo, ultimo contatto con la famiglia finchè Stefano sarà in vita. Il suo sguardo, rivolto al cielo, sul blindato che lo condurrà in carcere, gli occhi in un istante rasi di lacrime, ed il buio che incornicia quel volto tumefatto. Il dolore più grande è causato dall’indifferenza, che caratterizza molte tra le 140 persone che Stefano incontrerà durante questa settimana. Il desiderio di alcuni di avere documentazione relativa al suo stato di salute, che giustifichi la sua condizione e che li liberi da ogni responsabilità, come dei moderni Ponzio Pilato, pronti a lavarsi le mani.

Che sia scritto, dirà un agente, che questo arresto non l’ho condotto io, più importante il bisogno di tutelarsi che non di comprendere ciò che sia accaduto. Ed ogni volta che questo giovane tormentato, per paura, rifiuterà cure o aiuti, nessuno farà un passo in più verso di lui, molti si limiteranno a svolgere il loro ” compitino” , lasciandolo solo. La solitudine dentro quella cella è tangibile e tremenda, tanto quanto la paura. Ho provato una grande senso di sollievo ogni volta che qualcuno, con un briciolo di umanità si sia avvicinato a quel letto, ma è durato pochi istanti. In una recente intervista, Ilaria Cucchi, la battagliera sorella di Stefano che ha fondato una onlus a suo nome ed è riuscita a mantenere alto il clamore su questa vicenda, ha dichiarato che vedendo per la prima volta Sulla Mia Pelle, avrebbe desiderato vedere un finale differente, la salvezza per il fratello. Il film ha lasciato in me la medesima sensazione, come se mi aspettassi da un momento all’altro un epilogo differente, una “via di Fuga”, un uomo di buona volontà che si occupasse di questo ragazzo e lo salvasse. Perché era troppo doloroso pensare che sarebbe finito tutto così. Così com’è stato, con un giovane morto, per non aver avuto la possibilità di pagare per i propri errori, ma in un modo dignitoso e corretto, civile. Perché nessuno ha avuto la forza o il coraggio di fare qualcosa di più. Netflix ha riaperto un vaso di Pandora, ed il successo ed il seguito delle proiezioni pubbliche della pellicola credo servano a comprendere che l’indifferenza non è necessariamente il male dei giorni nostri. E non tutti siamo disposti a girare la faccia dall’altra parte. Volgeremo lo sguardo dove servirà, per evitare che altre madri, ed altri padri, ed altre sorelle, siano costretti nella fredda sala d’attesa di un obitorio, percé nel mondo ci sono ancora uomini di buona volontà.

Emanuela Arcidiacono

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