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Suicidio assistito: ripartire da chi soffre e ha ragioni per vivere. Di Luca Del Gobbo

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Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

Il dolore è una dimensione della vita da trattare con rispetto, qualunque posizione induca nel tempo chi lo patisce. Non ne ho mai fatto un terreno di scontro ideologico. Il grido di chi soffre – o di chi vede soffrire chi ama – merita sempre ascolto.
Altra cosa è giudicare la scelta della Consulta che ha aperto al suicidio assistito, sia pure in situazioni particolari, e ha infilato, in un colpo solo, due errori gravissimi, di metodo e di merito. La sentenza della Corte sfila al Parlamento una sua funzione propria, quella di legiferare. Perché se è vero che le Camere dovranno votare una norma ad hoc sull’argomento, lo faranno su una disciplina già tracciata. Una annessione di ruolo improprio su cui la politica ha molte colpe. Decidendo di non decidere, ha lasciato campo aperto (volutamente?) all’iniziativa dei giudici.


Seconda considerazione. Agevolare il suicidio sarà considerato un atto medico. Cade così il paradigma fondamentale su cui la stessa medicina si fonda: combattere la morte, non procurarla. Terza considerazione. La legge sulle cure palliative è inapplicata per mancanza di finanziamento. Parliamo di una norma del 2010. Ma è possibile? La terapia del dolore è un vero atto medico sui si decide scientemente di non investire. Perché? Soluzioni? La vita non è un valore. È un’esperienza grandiosa. Nella quale si sommano fatti positivi e negativi; gioie, dolori, angosce, speranze. Esistono esempi di dolore vissuto e accompagnato con dignità che andrebbero diffusi, raccontati, testimoniati. Per mostrare che è possibile avere delle ragioni per vivere sempre. Spetta anche alla politica il compito di indicarle, di dar loro valore. Facciamolo presto. #vita

Luca Del Gobbo

*Consigliere Regionale NOI con l’Italia

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