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Dall'archivio:

Su quella che fu la mia infanzia in Via Monte Nero a Turbigo…..

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PREMESSA. Luigi Scotti è un turbighese doc nato in Via Monte Nero, 17, nel lontano 1943, ma abita a Magenta da cinquant’anni. E’ conosciuto in ‘patria’ per essere stato uno dei fondatori nel 1988 degli ‘Amici della Musica’, associazione benemerita turbighese di cui è presidente, la quale ogni anno – in nome della musica – allieta le serate dei melomani locali.  E’ anche un appassionato di storia locale e capita che ci telefoni per informarci di quanto ha scovato nel mondo del web sempre nella directory ‘Turbigo’. E noi gli rendiamo merito con questo suo scritto che segue ad una nostra sollecitazione. Ci disse di aver trovato delle cartoline d’epoca interessanti – forse anche una foto del sindaco Paolo Tatti – e subito gli abbiamo chiesto di inviarcele. L’abbiamo sollecitato e lui ci ha inviato le seguenti ‘Immagini nel tempo’, lucidissime, per cui gli abbiamo chiesto di condividerle, per la fragranza che evocano in chi ha vissuto il paese in quel periodo. Abbiamo dovuto insistere, ma alla fine ce l’abbiamo fatta.

Giuseppe Leoni

PHOTO TROUVE’ – Ti allego una cartolina d’epoca dello sconosciuto, almeno per me, tratto del Naviglio di Turbigo (abbiamo scoperto poi che si tratta dell’ultimo tratto del Canale Industriale, dove si affaccia al Naviglio Grande, realizzato nel primo Novecento, ndr). Poi cercherò negli abissi del mio Pc per trovare la foto del personaggio sul calesse all’uscita del ponte sul Ticino (si tratta di una ipotetica foto dell’ingegner Paolo Tatti di cui non è stata ancora rinvenuta un’immagine nonostante sia stato sindaco di Turbigo dal 1864 al 1913, ndr). E, se lo trovo, ti mando anche un articolo di giornale con foto di una esercitazione di bersaglieri sul Ticino ripresi sulla curva Rossari & Varzi. E poi ti devo mandare… altre cose (…).

IL FABBRO – Hai forse una foto del Gioletto Faré. Non della persona, ho già una foto con lui in mezzo ad un gruppo, un Don e anche il Giuan Meazza, di cui era amico, ma del portico sotto la quale lavorava. Abitando in via Monte Nero, da piccolo per andare a scuola in Via alla Stazione passavo davanti a tale portico. Fuori c’erano in sosta cavalli e asini e dentro, al buio, vedevi la brace viva e lo sprizzare delle scintille e della musica, una vera melodia, provocata dai colpi di martello sul ferro acceso. E andavo di fretta, accompagnato da questa antica musica, con la mia borsa, il mio scussarin con il colletto bianco, che si usava portare a quei tempi a scuola. Questa tettoia, come tu saprai, era sull’angolo Via Garibaldi – Via Allea, dove ora c’è una casa di mia proprietà.

 

VIA MONTE NERO. Non hai ancora scritto la storia della mia via Monte Nero (sì l’ho fatto e si trova sull’elenco delle Vie del sito comunale, ndr). Una via interessante abitata dai Cagelli, Richetto e Angelo con i quali giocavo in cortile al Giro d’Italia con palline di vetro o con tappi a corona delle gazose in cui mettevamo, ritagliate, le figure dei campioni di ciclismo. A volte usciva in cortile la loro ottocentesca nonna, vestita di nero, con gonne lunghe. Allargava un po’ le gonne e in piedi faceva la pipì. Oppure andavamo nelle grandi stalle dove tenevano i cavalli. Il nonno, che era stato in America, e il padre avevano i carri per il trasporto di materiali. Più avanti li sostituirono con dei camion. Di fronte abitavano i Bonza, della famiglia del macellaio Ernesto, e la mia cara coscritta Teresina e la famiglia dei Sacardì (Enrico, Teresio, sorelle e genitori); ricordo ancora il vecchio novantenne che usciva andando in giro in bicicletta.

Il macellaio Ernesto. Quando arrivavano le bestie da macellare, noi ragazzini eravamo lì in attesa sulla porta. Sparava con una pistola e poi finiva la bestia con una mazza, quindi la attaccata su con delle catene per squartarla. Era il momento che aspettavamo. Prendeva la vescica e ce la buttava e poi, dopo averla gonfiata, correvamo in contrada a giocare al pallone.

Più in giù nella contrada e vicino a casa mia si trovava il contadino Merlo (Cecc Corni), padre del povero Mario, mio compagno giornaliero di giochi, nella cui stalla mia mamma mi accompagnava, alla luce delle candele, con le mucche lì vicino e, con la Maddalena, si sgranavano le love. E in questo ambiente ci raccontavano la sempia. E quando arrivava il carretto con il fieno da mettere in cascina, io e il Mario eravamo lì sopra per buttarci nel fieno. Non ti dico quando ammazzavano il maiale in cortile. Un mese prima della sua scomparsa, per una delle tante iniziative della nostra Associazione Amici della Musica, eravamo dal Balotta in convivio a mangiare la casseuola e gli ricordai che mi  diceva “da grande sposo un cavallo” ed io rispondevo che non era possibile, ma lui confermava convinto. Ebbe un mesto sorriso di ricordo. Povero al me Mariet non l’avrei più rivisto. Di fianco alla loro porta di casa c’era la mia, dove sono nato. Nel mio cortile eravamo quattro famiglie. Prima della guerra c’era anche il dottor Cabrini, mentre ai miei tempi, oltre alla mia famiglia abitavano i Cavaiani, al Fraschin che gestiva il negozio della cooperativa al Palazzo De Cristoforis e al Giacomin, padre del Bruno dottore, che quando nacque il Bruno uscì dalla casa con in mano una rivoltella e, dalla contentezza, si mise a sparare dei colpi in aria.

I giochi in contrada erano continui e molto vivaci (la lippa, il salto delle tolle con il carburo), con  l’Enrico e l’Angelo Cagelli, la Teresina, l’Enrica Montani e la Paola, l’Angelo Cavaiani e altri. Di fronte vi era il Mario Bulchin che aggiustava le biciclette, e giù fino all’incrocio con la via Garibaldi si trovava il negozio di alimentari della Maculata. Dall’altro lato, dove ora si trova il negozio chiuso Garghetti e lungo la via Monte Nero vi era il muro dello stabilimento Borgioli? (… non ricordo bene), dove poi si installò il Brusatori. Ho tralasciato molte altre persone e famiglie da me conosciute e frequentate per tanti anni e di cui ho ancora un vivo ricordo. Per farla in breve, veniva poi la famiglia del Flavio, architetto, la casa rimodernata in cui il tuo povero fratello (Roberto Leoni, ndr) andò ad abitare, mentre ai miei tempi ci abitava mia zia Adelina, mamma del Luciano Parini, dove mia mamma – che lavorava – mi posteggiava (lì leggevo i giornalini di mio cugino, Flash Gordon). Ero ghiotto di fumetti, senza comprarne uno, commerciandoli con gli altri miei amici (un topolino, che costava molto, con due o tre fumetti che costavano meno, si faceva il cambio)  mi sono ritrovato nove scatoloni pieni. Avevo anche novemila figurine di calciatori, di campioni in bicicletta di quei tempi. Tutto finì bruciato… Per finire dall’altra parte della strada abitava la famiglia del Tonino Cagelli e poi la fonderia (?) e di fronte il Giampaolo con famiglia.

 

LE CAMPANE. Potrei raccontare tante di storielle, una per tutte quando da ragazzini un po’ troppo vivaci, andammo di nascosto sul campanile della Chiesa a suonare canzoncine con le campane. Dopo aver sorvegliato di nascosto al sagrista  (noi eravamo a giocare nell’oratorio) vedendolo di continuo arrivare a suonare il vespero ci incuriosimmo. Curandolo venimmo a sapere dove metteva la chiave della porta del campanile. Era sotto la sedia del parroco Don Riboni, uscendo dalla sagrestia a destra. C’erano, oltre a me, il Fabio, l’unico che sapesse suonare e altri di cui non ricordo il nome. Mettemmo uno di guardia per controllare sia la gradinata sia la strada in discesa con il compito di segnalare il ritorno del sagrista. Al suo segnale staccammo i fili di ferro con il gancio che si attaccava al battacchio (ogni filo di ferro era azionato da una grossa mano di legno che veniva schiacciata e così muoveva il battacchio) e correndo a perdifiato giù dalla scala del campanile uscimmo dove c’è l’altare per scendere le scale e andare verso la porta di uscita sulla destra della chiesa. All’uscita della porta del campanile, la chiesa era semibuia, vedemmo la porta principale aprirsi, un fascio di luce solare stagliava la figura minacciosa del sagrista. Di corsa prese sulla destra della chiesa la pertica con il cappuccio – che serviva a spegnere le candele – e brandendo il lungo legno corse verso di noi che in fila correvamo giù dalle scale. L’ ultimo della fila era il Dino, fratello dell’Aristide macellar, che venne sfiorato dal fendente. Scappammo fuori verso il cimitero e, al sicuro, sentimmo i colpi delle legnate sulle nostre ignare biciclette. Il giorno seguente cambiò il nascondiglio delle chiavi, ma la cosa non era più di nostro interesse.

 

Ho vissuto appieno la mia Turbigo d’in sù e d’in giò, però ero del Turbig in sù. E tutto ciò mi spinge, non da oggi, e grazie anche a te con le tue Contrade nostre e i tuoi libri, a interessarmi alla storia di questo nostro paese.  Il mio coscritto Violi tempo fa’ mi ha fatto avere una foto di gruppo dell’asilo e della colonia di quegli anni, che non avevo.  E anche la foto di gruppo della scuola elementare con la maestra Cesira Bonaudo. Foto ‘sacre’ di quella che fu la giovinezza nel mio paese.

 

Ciao Leoni, vivi felice, Luigi Scotti

 

P.S. – La foto della processione mi è stata fornita dal mio amico d’infanzia e coscritto ingegner Luigi Bonomi che da molti anni abita a Varese. Suo padre suonava l’organo della Chiesa e me lo ricordo ancora a casa sua mentre suonava il pianoforte con grande ardore.

LA ‘LUINA’. Ricordo anche che nelle sue case in via 25 aprile c’era il negozio della Luina, una vecchia signora che vendeva i bon bon, caramelle, i rotolini di liquerizia e altro e quando andavamo a messa alla domenica o all’oratorio passavamo da lei. Il Luigi mi ha riferito che il negozio era stato dato senza il pagamento di un affitto.

LA FATTUCCHIERA. Ricordo anche che da ragazzino io e il mio amico e coscritto, il povero  Silvano Aresi, andammo a casa del padre di Luigi Bonomi per curiosità. La mamma era molto religiosa e aveva invitato a casa sua una ‘signora’ che diceva andasse in estasi e parlasse con la Madonna. Era naturalmente una pataccara ed era assistita da un suo uomo che faceva avvicinare le persone, una alla volta, e ce n’erano tante in quella casa bisognose di risolvere qualche problema della vita. Fatta la richiesta, andata in estasi e dopo aver passato la risposta della ‘Madonna’ alla persona bisognosa l’uomo passava all’incasso.

LA PROCESSIONE. La foto della processione (che pubblichiamo) è stata scattata dove c’era lo Zara macellaio in via Matteotti. L’ho mostrata alla Teresina Bonza. Il balcone che si vede è della sua casa, sotto c’era il negozio di macelleria del padre Ernesto Bonza, angolo Via Monte Nero-Via Matteotti. La Teresina si vede sul balcone con la mamma  e  altri. Inoltre,  intravedo addossati al muro della casa Cagelli il viso di una figlia del Fraschin, del quale parlo sopra. Curiosi i vestimenti da paggetto dei giovani sul carro e a terra.

 

 

 

DIDASCALIE 1 – Luigi Scotti; 2 – L’ultimo tratto del Canale Industriale in una rara immagine d’inizio del Novecento; 3 – L’Allea Comunale con il portico del Faré all’inizio di quella che oggi è la Via Garibaldi; Una processione turbighese fotografata in Via Matteotti

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