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Sinner, la vittoria su Alcaraz e lo ‘scalpo’ dei Big Three- di Teo Parini

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Partiamo con i numeri: primo torneo dell’anno, il sesto in carriera a soli vent’anni, primo assoluto sulla terra rossa e, soprattutto, prima vittoria contro uno dei primi cinque giocatori al mondo. Alcaraz, che difficilmente non si prenderà il gradino più alto del ranking in tempi celeri.

Umago, per queste e altre ragioni magari meno evidenti, è uno snodo importante per il proseguo della carriera di Jannik. E chi pensava che l’abbandono di un monumento vivente come coach Riccardo Piatti avrebbe avuto chissà quali ripercussioni sulla sua crescita tecnica deve cominciare a pensare che, al contrario, i pochi mesi di cura Vagnozzi abbiano invece già apportato migliorie nel gioco tutt’altro che scontate.
Il servizio, per esempio, colpo di inizio gioco la cui assenza di letalità tarpa senza appelli l’ambizione di poter divenire il più forte. L’importanza capitale dei punti ‘facili’, quelli ottenuti direttamente con la battuta per alleggerire la pressione nei momenti difficili di un match, è segreto di Pulcinella. Sinner, questa settimana ha sgombrato il campo dai residui dubbi: quello che era il tallone d’Achille, adesso, pur non essendo l’arma letale di un Kyrgios, è un segmento affidabile del gioco. E se è vero che è dalla seconda palla che si misura la qualità globale del servizio, la conferma a riguardo giunge dalle evidenti difficoltà incontrate da un califfo come Alcaraz nel prendere in mano lo scambio fin dalla risposta.
Constatato per onestà intellettuale che Alcaraz può dare di sé una migliore versione rispetto a quella calante di domenica – Sinner deve infatti ringraziare anche un po’ Zeppieri per aver costretto lo spagnolo agli straordinari in semifinale – non si batte un giocatore di tale spessore e sulla tua superficie teoricamente meno propizia senza una prestazione maiuscola in tutti i settori. Detto del servizio, Sinner ha via via levato certezze all’avversario in ciò che Alcaraz sa fare meglio, le diagonali, grazie a un ritmo nello scambio a tratti impressionante. Palla veloce e colpita presto a levare il tempo, dunque asfissia, gittata lunga, pochissimi errori gratuiti. Da manuale.
La solidità mentale dell’altoatesino, poi, non la si scopre certo ora. Perso il tiebreak del primo set a causa di un quindici malamente giocato nei pressi della rete ove urge maggiore competenza, Sinner – con un avversario sospinto da tutta l’inerzia del mondo e, quanto di peggio, capace di alzare l’asticella del gioco nei momenti di difficoltà altrui – ha stretto i denti al passaggio dell’uragano, cancellando all’inizio del secondo parziale una dopo l’altra sei palle break che tanto facevano rima con capitolazione. Che, al contrario, è toccata in sorte all’avversario, poi onesto nel dichiarare di essersi trovato nell’incapacità di sapere cosa fare per tirare fuori il naso dall’acqua.
Insomma, Sinner non ha l’estro, l’originalità e l’arroganza tennistica di quelli che ti fanno sobbalzare sul divano e fa bene, anzi benissimo, cose che abbiamo visto e rivisto fare ad altri illustri predecessori. Ha per sua stessa ammissione una vita monotona da bravo ragazzo che non include nulla che non sia maniacalmente funzionale al tennis e una parlantina noiosa quando ci ricorda che in una discoteca, come in un pub, non è mai nemmeno entrato. Però è forte, un tennista vero, destinato a sollevare trofei assai più pesanti di quello di Umago.
Per gli amanti degli almanacchi e della supremazia del quanto sul come, Sinner è senza dubbio la migliore soluzione del problema Italia. Il prossimo step sulla strada della consapevolezza prevede lo scalpo di uno dei big three, cosa che peraltro Alcaraz ha già fatto, dopodiché parlare di vittoria in una prova del grande Slam assumerà tutta un’altra credibilità. Che non significa automaticamente riuscirci ma possedere tutte le credenziali utili e necessarie.
Teo Parini

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