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Dall'archivio:

Sergio Prato ci scrive: “Per una corretta lettura del film 120 battiti al minuto di R. Campillo”

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RICEVIAMO & PUBBLICHIAMO – Abbiamo richiesto all’amico Manuel Vulcano, professore di mass media – critico cinematografico e regista , che gentilmente ci ha sostenuto ed aiutato per la presentazione e dibattito del film di R. Campillo proposto in occasione della giornata mondiale contro l’ Hiv-Aids e MTS e proiettato a Magenta presso il Cinema Teatro Nuovo. Così ci racconta:

“Un film che non si limita ad incidere sulla scontata dialettica tra vita e morte che l’AIDS inevitabilmente contiene ma che prova a dare uno sguardo profondo sull’essere umano ragionando tra idea e azione, mente e corpo, malattia e vita. A partire dall’alternanza delle sequenze di assemblee e azioni dirette del collettivo ci scontriamo con la morte e l’amore. L’amore è il ballo a 120 bpm nella Francia di Mitterand dei primi anni’90, è quello dei loro affetti, del piacere, delle riunioni, della lotta e delle manifestazioni. L’amore sopravvive alla morte ed è ciò che da effettivamente senso alla vita. Si tratta di un’opera  in cui il vero protagonista è un insieme di persone: il collettivo Act Up. 

 

Marzia Bastianello & Sergio Prato

 

Dal collettivo emergono alcune figure come quelle di Sean e Nathan che servono al regista per entrare nel dettaglio della sofferenza, del sentimento ed essere assunte come paradigma per comprendere il resto dell’insieme. La storia dei ragazzi infatti nasce, si consuma e finisce all’interno del collettivo. Lo stile di Campillo è interessante, confeziona alcune inquadrature suggestive, passa dai campi totali delle assemblee a inquadrature al microscopio, gioca con i volti e corpi che emergono spesso dalle ombre uscendo e rientrando dall’inquadratura. Si affida ad una fotografia cupa e talvolta stridente che ci proietta nella malattia e prova a farci intuire il disagio, la sofferenza fisica e mentale che precede la morte oltre che il vuoto di chi rimane. Quando i giorni da vivere rimangono pochi, ogni azione diventa un rituale da filtrare con infinita meticolosità. Il tempo scorre inesorabile e la perdita di una persona amata è devastante e complessa da spiritualizzare. Per fortuna il collettivo, come una grande famiglia aiuta chi rimane. La morte non è la fine, tutto sfuma in nuovo piacere, nuovi balli, nuove manifestazioni azioni cortei, lotte. La vita continua.Una panoramica iper realista sulla malattia e sulla voglia di vivere resa magistralmente dal regista che fu membro attivo del collettivo Act Up e dunque testimone autentico di quelle situazioni. Un film utile se si vuole trattare tematiche legate alla malattia, alla morte ed al senso della vita.” 

Per Le Rose di Gertrude
Sergio Prato 
Presidente 

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