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Se il Samaritano della morte diventa un eroe

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La decisione dei giudici di Milano, nella sua apparente salomonicità, è chiara come il sole, anzi a mio avviso fa venir giù la saracinesca del buio. Dice, tradotta dal giuridichese: l’atto di Marco Cappato che ha accompagnato al suicidio assistito in Svizzera Fabiano Antoniani, detto dj Fabo, è stato dettato dalla pietas. Ha difeso la dignità di un signore sofferente che sentiva la propria vita indegna di essere vissuta, che è un sinonimo per dire che esistono condizioni umane che vanno riconosciute prive di dignità. Cappato si è preso la briga da buon samaritano di consentire a quest’uomo malato di realizzare la propria libertà.

Da qui la richiesta alla Corte costituzionale di dirimere la questione che sintetizzo nella sua carica emotiva così: può un atto buono e generoso, moralmente eroico, essere colpito da una legge dello Stato? Come può consentire la Costituzione una simile follia? L’articolo 32 sancisce la libertà di cura. E talvolta la cura scelta dal cittadino è la morte, perché mai dovrebbe essere un crimine aiutare a esercitare un diritto?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Corte d’Assise di Milano ha scelto infatti di non condannare Cappato per il reato di aiuto al suicidio, previsto dall’articolo 580 del codice penale, ma neppure lo ha assolto. Non si creda che però si è collocata a metà strada come l’asino di Buridano. Ha dato non solo un’assoluzione ma una specie di incoronazione morale al gesto di Cappato.

Chiedevano il riconoscimento di non colpevolezza sia la difesa sia l’accusa in singolare concerto di idee, che rappresentano lo specchio della mentalità oggi dominante, una sorta di pensiero unico che attraversa destra e sinistra. Vale a dire: l’uomo è una creatura, anzi no, non è una creatura, si fa da sé, deve scegliere da sé come disporre della propria vita. La sofferenza quando non può trasformarsi in guarigione è negazione dell’essenza dell’umano. Dunque consentire l’autosoppressione non è uccidere un uomo, ma dargli la chance finale di essere se stesso. Cappato — ha spiegato nell’arringa l’avvocato Massimo Rossi, che è mio carissimo amico — ha sostenuto Fabiano conducendolo dove lui desiderava “esercitare un suo diritto, non il diritto al suicidio ma il diritto alla dignità” nel morire. Entrambi poi, accusa e difesa, invitavano in subordine a trasmettere gli atti alla Corte costituzionale. E siamo al punto di partenza. Che cosa farà la Corte? Abrogherà d’imperio l’articolo 580 cp, di fatto legalizzando il suicidio assistito anche in Italia, come in Svizzera?

E’ stata la grande Flannery O’Connor a sostenere che nella nostra epoca il sentire prevale sul vedere. L’aborto passa perché prevale l’empatia con la donna rispetto all’oggettività di una soppressione di una creatura indifesa. Così accade ora con questo grande passo verso l’eutanasia. Manca pochissimo.

Il sentimento dominante ha un carattere totalitario e spazza via qualsiasi spazio di un dialogo sereno, non si tollera neppure che uno possa esercitare dissenso. Perché si è subito attaccati al muro come fuori dallo spazio minimo di umanità. Solo un sentimento ancora più forte, una esperienza ancora più potente del desiderio della morte, può incidere e capovolgere la “cultura dello scarto” (Francesco). Dove a essere scartato è tutto ciò che non corrisponde al modello di vita ritenuta degna. Fino al punto di introiettare questi principi emotivi nei più deboli, per cui sono quelli scartati a scegliere di essere scartati. Una testimonianza di amore fino alla fine: “La tua grazia vale più della vita”, dice il salmo 62. C’è gente che vive così. Negli ospedali, nelle case, ci sono persone in cui riluce uno sguardo per cui tu, scarto, sei la pietra d’angolo, malato come sei.

Intanto speriamo che non ci sia però chi si augura che, in nome del ripartire da capo, la Consulta legalizzi il suicidio assistito, in nome del tanto peggio tanto meglio, che non è proprio un pensiero cristiano.

Renato Farina (da www.ilsussidiario.net)

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