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Sanità e politica, tra governo dei camici e limiti di legge (da Il Foglio)

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La vicenda giudiziaria che nei giorni scorsi ha riguardato la gestione della Sanità in Basilicata è in pieno corso e considero inappropriato ogni commento nel merito. Altra cosa, naturalmente, sono interrogativi, dubbi, presunzione di innocenza che possono – e debbono – anche in questa fase trovare cittadinanza. Ma la vicenda ripropone un tema più generale, che in qualche modo anche il vostro giornale ha trattato. E lo ha fatto sostenendo – con  il titolo “Il reato di governare la sanità” – che è dovere dei governi regionali, perché previsto dalle norme, gestire la sanità, “influenzare i direttori generali” (aggiungendo, ovviamente,  “altra cosa è il malaffare”).

 

Ecco, proprio qui vorrei fare qualche osservazione critica, che non riguarda solo la Basilicata. Ho da tempo  una opinione diversa: la Politica (uso la maiuscola per stima) non deve interferire negli aspetti tecnico-gestionali. La sanità è un aspetto fondamentale, centrale, della vita di una società, dei cittadini. E quindi è giusto che sia la Politica a decidere le scelte di politica sanitaria (nazionali e regionali).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Deve essere la Politica a stabilire la programmazione ospedaliera in una regione. Quanti centri di eccellenza, quanti livelli di emergenza, di media assistenza, di pronto soccorso. Quanta medicina territoriale, quanta cura, quanta riabilitazione. Quale e quanto rapporto tra pubblico e privato. Quanta connessione tra sociale e sanitario. Quanti e quali ticket far pagare. A chi. A chi più, a chi meno, a chi niente. O a decidere come abbattere le liste d’attesa. Come gestire l’intra moenia e il rapporto con il confezionamento privato. Come superare il gap di assistenza sanitaria che esiste tra diverse regioni e che rende i cittadini italiani diseguali davanti alla malattia e alla cura. E alla prevenzione.

Gli obiettivi di un piano sanitario sono obiettivi politici. Di più: di grande valore politico e sociale. Così come il controllo e la verifica sulla realizzazione di quegli obiettivi non può che spettare ai rappresentanti dei cittadini: Parlamento e Governo per le proprie competenze, Consigli e Giunte Regionali per le proprie. Programmazione, obiettivi, controllo: questo significa governare la sanità. Ed è il livello Politico che la deve governare. 

Ma dal momento della programmazione e della fissazione degli obiettivi a quello del controllo la “gestione” di aspetti fortemente tecnici, specialistici, manageriali, finanziari, la gestione delle risorse umane, di quelle finanziarie non può spettare alla Politica. So come è fatta la normativa e conosco le competenze delle Regioni nella nomina dei Direttori Generali delle Asl. Già si è andati nella giusta direzione con iniziative adottate negli ultimi anni dai Governi, che hanno allestito elenchi, albi e criteri per selezionare i possibili candidati sulla base di titoli, curriculum ed esperienze. Ma io credo che si debba compiere un passo in più: nominare i direttori generali sulla base di selezioni effettuate da società terze, indipendenti e specializzate, che esaminino solo titoli, curriculum e competenze (solo alla fine i nominativi) indicando i più adatti sulla base della coerenza con gli obiettivi fissati dalla Politica e della capacità potenziale di raggiungerli.

I direttori, così, si sentiranno in dovere di rispondere quotidianamente solo all’esigenza di raggiungere questi obiettivi e non a chi li ha nominati. Non sentiranno il bisogno (o, almeno, non dovrebbero sentirlo) di “consultare” chi li ha nominati per questa o quella scelta tecnica o specialistica. O per quella nomina di responsabile (tipo primario…) da fare… Chissà perché, ho l’impressione che oggi questo accada e che in giro per l’Italia le scelte tecniche siano troppo influenzate dalla politica o da altre consorterie. E dopo due anni i direttori risponderanno: lo faranno con la verifica del livello del raggiungimento degli obiettivi. Questa strada toglierebbe spazi occupati impropriamente dalla politica.  Ho fatto l’esempio della sanità per attualità (purtroppo costante nel tempo) di cronaca, ma gli esempi possono riguardare a tutti i livelli tutti gli ambiti della vita di partecipate pubbliche per i cui aspetti di gestione si richiedono capacità tecniche, specialismi, competenze specifiche. Basterebbe poco per compiere questa piccola-grande rivoluzione copernicana meritocratica e di garanzia di pari opportunità. Basterebbe la volontà dei livelli di governo regionali. Basterebbe che il Parlamento calendarizzasse e votasse per esempio la proposta di legge che da Roberto Morassut (e anche dal sottoscritto) è stata ripresentata per fissare criteri trasparenti di nomina nelle partecipate e negli enti pubblici.

Si potrebbe provare a togliere davvero opacità nelle scelte, contiguità improprie tra gestione tecnica e politica. Tra scelte specialistiche e politica. E magari, come tanti esempi in questi anni si sono incaricati di dimostrare, tra affari e politica. La Politica verrebbe valorizzata. La politica (stavolta quella con la minuscola) farebbe un passo indietro. Nella famosa intervista di Enrico Berlinguer sulla “Questione morale” rilasciata a Scalfari trentasette anni fa, il tema vero era questo: togliere spazi impropri al partitismo (e allora almeno i partiti esistevano).

Altri aspetti di quell’intervista furono o possono essere oggetto di dibattito e critica, ma la vera sfida, ancora attuale, era questa. Se la Politica desse oggi un segnale di questa forza e autorevolezza si toglierebbe spazio, tra l’altro, a chi in questi anni è nato, è cresciuto, ha preso voti non tanto per meriti propri, ma anche perché aiutato da cattivi esempi, troppo diffusi, della politica. E se cominciassimo anche da qui ad essere europeisti e anche più concretamente europei?

*di Walter Verini, deputato Pd (da Il Foglio)

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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