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Roberto Formigoni: un’autentica, coraggiosa storia di popolo che nessuna sentenza potrà mai offuscare

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“Non è la storia di un uomo solo, ma è anche la storia di un popolo fortemente coeso, che cammina con lui. E insieme affrontano battaglie culturali e politiche, ora vincendo ora perdendo, ma sempre tenendo la rotta e riprendendo il cammino. E sempre lavo rando perché l’intelligenza della fede che hanno ricevuto diventi anche intelligenza della realtà. L’impegno politico, che ben presto diventa preponderante, viene vissuto come occasione per incontrare e condividere i bisogni delle persone. E per cercare e costruire soluzioni, nell’ottica, dice il protagonista, di rendere esperienza la dottrina sociale cristia na. Soprattutto il principio di sussidiarietà è proclamato e vissuto come la stella polare che orienta le diverse scelte, e questo anche alla guida di una delle regioni più moderne e avanzate d’Europa, la Lombardia, alle prese con problemi tipici di una società complessa, che guarda con ansia al futuro. Incalzato da un intervistatore che è sì un amico ma non rispar mia le domande più scomode, il protagonista parla anche di sé, degli aspetti più intimi, meno noti e più sofferti della sua vita. Dunque è a tutto tondo una “Storia popolare”, la storia di un cristiano e di un pezzo di popolo cristiano”.

Basterebbe la prefazione del cardinale Camillo Ruini, protagonista di una stagione ormai purtroppo largamente sepolta (seppure tutt’altro che remota) nel rapporto tra fede, cattolici e politica, per cogliere l’assoluta straordinarietà di un libro-testimonianza che non a caso il cosiddetto potere culturale, culturale o mainstream che dir si voglia o vogliate, ha volutamente rimosso o relegato nelle ‘minors’ in termini di categoria giornalistica, mentre invece avrebbe meritato ben altri prosceni.

Tanto di cappello (culturale e giornalistico, e di coraggio, e di amore per la verità) perciò a un editore coraggioso e poco incline a lisciare il pelo allo ‘zeitgeist’ come Cantagalli, che ha pubblicato nei mesi scorsi un’autentica summa della vita personale e politica di Roberto Formigoni, ‘Una storia popolare’, lunga intervista- confessione a Rodolfo Casadei (536 pagine).

Non è certo una novità (parliamo del coraggio) per la casa editrice fondata quasi un secolo fa (era il 1925) da Ezio Cantagalli, animato da un’ardente fede e dalla passione di divulgare il messaggio cristiano e la cultura cattolica, ilquale raccolse intorno a sé un gruppo di amici e collaboratori con i quali condivideva un interesse profondo per i cambiamenti sociali del suo tempo, che specie durante il dopoguerra minacciavano il Cristianesimo. Con l’appoggio e l’incoraggiamento delle più alte autorità ecclesiastiche e civili Ezio Cantagalli si dedicò al compito di diffondere capillarmente la Cultura cattolica tramite la traduzione e l’adattamento dei testi fondamentali dei Padri della Chiesa, dei grandi Santi e degli scrittori cattolici, fino ad allora inaccessibili a molte persone.
Una lettura che attrae e tiene avvinto da inizio a fine, densa e ricca di spunti utili ad una riflessione complessiva non solo e non tanto su una vicenda che per quanto rilevante è pur sempre personale. E il perchè lo spiega benissimo il co autore, Rodolfo Casadei, il quale non vanta solo un’amicizia di vecchia data con Formigoni, ma anche un rapporto di collaborazione negli anni di Regione Lombardia.
 Per quello che mi riguarda, all’origine di questo libro c’è un senso di ribellione per una duplice ingiustizia: la criminalizzazio ne, da parte dei nemici, di una storia dove in realtà le luci sono immensamente più numerose delle ombre; il silenzio o l’amnesia di tanti amici rispetto a un’epopea che pure a suo tempo hanno condiviso. Trovo questa seconda ingiustizia più sconfortante della prima. Perché la storia di Formigoni è una storia di popolo, un popolo di volti unici e irripetibili, scrive Casadei con una punta di legittimo orgoglio e di rivendicazione dei tanti meriti e delle battaglie, politiche e culturali, combattute per decenni da quel pluriverso di uomini e donne raccolti attorno al movimento di Comunione e Liberazione, esperienza che accomuna sia Formigoni che Casadei, giornalista di razza e conio antico, la cui vena incalzante e la profonda conoscenza del lungo periodo storico descritto nel libro è un coadiuvante ideale alla lettura e alla comprensione.
Il libro è strutturato in quattro parti e 28 capitoli, nei quali viene ripercorsa come detto la lunga parabola di un protagonista assoluto del mondo cattolico e della politica italiana, nato nel primo Dopoguerra e cresciuto nella Lecco operosa e inequivocabilmente lombarda. Ci sono poi (ne abbiamo lette a decine, tutte ugualmente utili) le istantanee sul difficile, complesso e articolato rapporto tra giovani cattolici, 68, Contestazione, la presenza nelle università da cui germinarono i semi del terrorismo e dell’estremismo di sinistra (si pensi alla Trento di Renato Curcio o a Mario Capanna negli anni della Cattolica, ancor più efficace è la rievocazione fatta lustri addietro da Massimo Fini e il pestaggio del figlio di Leo Longanesi a opera degli ‘eroici’ katanga).
La presenza dei cattolici (nelle scuole, nelle università e generalmente in politica) attraversa la stagione del divorzio, dell’aborto, del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro, del Pci che insidia il primato della Democrazia Cristiana.
A mo’ di storia nella storia, una delle parti del libro che abbiamo maggiormente apprezzato è quella che rievoca la storia- che è appunto di Formigoni e di una vasta componente popolare- del Movimento Popolare, in seno al quale l’uomo e il politico diventano un tutt’uno. E’ sulla fine di MP, che tramonta per sempre nel mezzo della burrasca di Tangentopoli, che Casadei e Formigoni compiono una disamina lucida.. e col senno di poi estremamente colma di amareza.
 “Nel dicembre del 1993 viene sciolto l’Mp. Perché? Fosti d’accordo allora? Oggi retrospettivamente che valutazione dai di quella decisione? Il perché andrebbe chiesto a chi prese quella decisione. Io non ne fui informato e non la condivisi, così come tanti responsabili e militanti dell’Mp ad ogni livello. Il Movimento popolare aveva svolto un lavoro prezioso e insostituibile nei diciotto anni della sua esistenza e avrebbe potuto – e dovuto – svolgerlo ancora. Non vedevo motivi per chiuderlo, anzi, semmai per rafforzarlo, vista la crisi terribile che attraversava la società italiana e la tempesta in atto. Forse si è pensato che il ruolo dell’Mp fosse esaurito, e che gli sforzi andassero concentrati sulla crescita della Compagnia delle Opere, quella realtà di imprese profit e no profit che era nata nel 1986 e che era la dimostrazione di come l’amicizia cristiana cambia anche il modo di pensare e realizzare le attività economiche. Non ero d’accordo con questo giudizio allora, e non lo sono nemmeno oggi. La CdO è stata ed è ancora una realtà straordinariamente vivace, ma che adempie a un compito diverso da quello proprio dell’Mp. In quegli anni tempestosi – Tangentopoli, fine dell’unità politica dei cattolici, Italia in ostaggio del cosiddetto partito delle procure – ci sarebbe stato bisogno di un Mp attivo, impegnato a giudicare con libertà e in modo pungente (come sapevamo fare noi) la realtà politica del paese e ad aiutare le persone a capire cosa stava succedendo. Retrospettivamente, direi che la mancanza di un soggetto politico come l’Mp in quegli anni cruciali si è fatta sentire. E quella mancanza si sente anche oggi”.
Molto meno tenero (e giustificato) il giudizio di Formigoni sulla Cdo, ed evidente il richiamo alla grave mancanza di un soggetto quale fu MP.
Prima del 1995, ossia l’anno della prima vittoriosa elezione al Pirellone, Formigoni è il leader che fa il pieno di preferenze al Parlamento Europeo e in quello italiano, è il politico che tratta la liberazione di ostaggi italiani in Iraq ai tempi di Saddam, è colui il quale s’inserisce nel solco del grande popolarismo europeo, quello degli Helmut Kohl tanto per intenderci. Prima del Termidoro e del buio giustizialista del 1992, i cosiddetti ‘ciellini’ e quanti si riconoscevano attorno ad Mp portavano in dote alla Dc circa 1 milione di voti.
Poi, nulla. Formigoni fa in tempo a partecipare al governo di Carlo Azeglio Ciampi nel 1993, ma diventa un autentico prim’attore ridando prestigio alla presidenza della Lombardia
I 18 ANNI DEL PIRELLONE E UNA SPROPOSITATA CONDANNA
Sono quasi 200 le pagine che Casadei dedica all’esame analitico, rigoroso, colmo di riferimenti, numeri, statistiche ed anche auto e non solo j’accuse (il libro contiene molte ammissioni di colpa, da parte di Formigoni, peraltro sproporzionate rispetto ai meriti, di gran lunga superiori) sui 18 anni che hanno cambiato per sempre il volto della prima regione italiana, che l’epoca formigoniana ha contrassegnato di record ineguagliati e ineguagliabili.
Vi rimandiamo peraltro ai tanti capitoli nei quali il pregio dell’intervistatore è dare una consecutio temporale e non solo al cuore della politica di Formigoni. Il libro non tratta volutamente in dettaglio la vicenda processuale che come noto ha portato alla condanna definitiva del politico che aveva più di ogni altro i galloni e la nobilità, nonché il quid, per succedere alla guida del centrodestra dopo Silvio Berlusconi. Cosa che, come altrettanto risaputo, non avvenne mai. Basterebbero le parole di uno dei più grandi penalisi italiani di sempre, Franco Coppi, a cogliere l’assurdità della condanna comminata a Formigoni (mentre dirigenti e funzionari di Regione Lombardia furono tutti assolti: intelligentibus pauca). Sul rapporto col successore di don Luigi Giussani (cui sono dedicate parole molto affettuose), don Julian Carron, e in generale col movimento di Cl, sono dedicate pagine di crudele durezza, su cui non ci sentiamo di esprimere un giudizio. Però, leggetele…
Sul quasi ventennio di Formigoni in Lombardia, a nostro modesto avviso, valgono e varranno sempre le parole di un politico lombardo che con la fede cristiana c’entra poco o nulla, ma che ha descritto la parabola formigoniana in modo esemplare. Parliamo dell’ex assessore regionale di Alleanza Nazionale, Massimo Corsaro.
Ci riuscimmo (a cambiare la Lombardia, nda), mi piace dirlo proprio oggi, perché alla guida di tutto c’era un cavallo di razza della politica; sicuro di sé ai limiti dell’arroganza, concentrato sul lavoro tanto da apparire spesso algido nei rapporti umani con la sua stessa squadra, ostinato e determinato tanto da fornire a tutti i lombardi la certezza di essere guidati da qualcuno che realizzava concretamente le cose, e nel loro stesso interesse.
Vinse a mani bassi le elezioni regionali per 5 volte di seguito, prima e dopo fu parlamentare nazionale ed europeo; quando girava per le provincie lombarde era accolto dalla gente con entusiasmo quasi maniacale; e infatti a Roma non fu mai amato, perché non vi era dubbio che fosse di diverse spanne il più bravo di tutti.
Un uomo difficile, per le sue scelte, per il modo di esporle, per il mondo di appartenenza.
Non sono mai stato ciellino, e nelle discussioni politiche sono state più le occasioni in cui ci siamo scontrati che quelle che ci hanno visto dalla stessa parte. Ma abbiamo sempre trovato il modo di lavorare – e bene – insieme.
Ad un certo punto, lui privo di una vita privata “normale”, ha cambiato il modo di trascorrere il suo tempo libero; da campione della morigeratezza divenne personaggio sovraesposto, ed il passaggio dai ritiri spirituali alle spiagge esclusive non gli venne perdonato.
E questo, nessuno me lo toglie dalla testa, è ciò che ha alimentato il livore e l’azione giudiziaria che gli hanno follemente aperto le porte del carcere.
Un processo mediatico, interminabile, in cui mano a mano sono stati giustamente assolti tutti i coimputati che ricoprivano ruoli chiave nella gestione della sanità, perché tutto si è palesato secondo le norme vigenti. Alla fine, la sua condanna in solitudine, come se da solo avesse nottetempo scritto le delibere, le avesse approvate nella segretezza e quindi firmato gli impegni di spesa nell’ignavia generale.
Ma questa è una di quelle storie che, purtroppo, saranno rilette con distacco e serenità solo quando il peggio sarà stato fatto. La storia patria è colma di pentimenti tardivi da parte di chi asseconda miserabili istinti rivoluzionari.
E OGGI..
Il libro è stato edito a ridosso della nascita del governo di Mario Draghi, a cui gli autori dedicato un post post scriptum certamente interessante.
Dopo aver dettato le note che avete letto nel Post Scriptum,
sono accaduti alcuni avvenimento nella politica italiana che potrebbero avere significativi seguiti nei mesi e negli anni a venire. Alludo alla nascita del governo Draghi, dichiaratamente atlantista, europeista e riformista, che gode del sostegno parlamentare anche di due partiti – la Lega e Forza Italia – che prima erano all’opposizione. La novità significativa è data dall’appoggio della Lega. Se durerà nel tempo, ciò vorrà dire che la trasformazione della Lega in partito più centrista che destrorso è iniziata. Quanto a Draghi, che indicavo come possibile “cavaliere bianco”, la sua discesa in politica pare destinata a durare. Insomma, ancora una volta la storia sorprende: quello che ipotizzavo che potesse avvenire in un periodo medio-lungo sta accadendo sotto i nostri occhi – forse è già accaduto – in una settimana di metà febbraio 2021.
Queste 536 pagine, insomma, ci restituiscono la vita e le opere di un gigante su cui, a causa del mix letale di giustizialismo tipicamente italiano e occupaziome gramsciana del potere culturale e giornalistico, è invalso un giudizio, anzi un pregiudizio, del tutto scisso da ogni barlume di autentica giustizia, e a cui viene invece tolta una indubbia e inequivocabile grandezza. Resta, sullo sfondo, l’amara consapevolezza che esiste un Giudizio più alto. Nel quale il cristiano, e speriamo non solo lui, può credere.
Fabrizio Provera

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