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Roberto Calasso (e Adelphi): un ponte verso altri Mondi- di Marcello Veneziani

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Come in un cerchio del destino la vita di Roberto Calasso si è compiuta nello stesso giorno in cui usciva, in un parto gemellare, la sua autobiografia, a partire dalla prima infanzia. Coincidenza troppo perfetta per attribuirla al caso. Soprattutto se si parla di un autore, un editore, un bibliofilo, assoluto come la letteratura a cui ha sempre aspirato. Calasso è stato uno dei rari spiriti svegli in un’epoca di cattivi maestri e di falsi profeti, in una marea di automi, dormienti e allineati.

Molte sue opere meritano di essere lette e rilette, non le citerò, ma la grandezza di Calasso resta consegnata non a un capolavoro letterario, bensì alla sua missione di pontifex, di facitore di ponti verso l’oriente, i saperi esoterici, le grandi visioni metafisiche, le grandi visioni tradizionali e la grande letteratura.

Calasso non è stato l’editore ma il mago delle Edizioni Adelphi, che ha guidato per mezzo secolo: alchemicamente trasformava i miti in libri e i libri in miti, come fu notato. Ha lasciato un’impronta indelebile nell’editoria; non solo per la qualità dei libri e degli autori in una grafica elegante e inconfondibile; ma per la svolta culturale che hanno prodotto e la sensibilità che hanno suscitato, fino a generare un tipo di lettore dal gusto adelphiano. Da Nietzsche a Guénon, per dirla in sintesi, ovvero dalla monumentale edizione delle opere di Nietzsche, a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, che Einaudi non volle pubblicare e che fu alle origini del terremoto nietzscheano nella cultura contemporanea alla pubblicazione di opere, filoni e autori nel segno della tradizione metafisica, del simbolo, del rito e dell’invisibile.

L’Adelphi è stata, senza mai opporsi apertamente, l’alternativa all’egemonia culturale storicista e progressista, scientista e materialista nell’editoria. Ha spiazzato il potere delle cupole ideologiche e mostrato la miseria degli intellettuali organici. Ha indicato altri mondi, altri tempi, altri miti al nostro tempo e al nostro arido presente che pure ha pretese di essere assoluto, definitivo e globale.

Che nome dare al nostro tempo, si era chiesto Calasso, per poi definirlo L’innominabile attuale, in un suo saggio che cominciava col terrorismo islamico e finiva con la pandemia. In mezzo scorreva il nostro tempo, i suoi turisti e i suoi abitatori, sotto il dominio del caso e del nulla. Nel suo sguardo originale l’attualità è vista non con l’occhio dello storico o del cronista, del sociologo o del letterato, e nemmeno del filosofo e del moralista, ma nel paragone tra il visibile e l’invisibile, il sacro e il profano, il piano storico e il piano simbolico. Calasso coglieva il nesso tra Darwin e Hitler e poi tra Stalin e Hitler, criticava la superstizione dello scientismo e il bisogno di sentirsi buoni a costo di negare la realtà e la spiritualità. E si sporgeva infine a sognare una società contemplativa fondata sulla “reverenza per l’ignoto”. Perdiamo il cielo sulle nostre teste ma perdiamo anche la terra sotto i nostri piedi. Nel suo incipit scriveva: “La sensazione più precisa e più acuta per chi vive in questo momento, è di non sapere dove ogni giorno sta mettendo i piedi. Il terreno è friabile, le linee si sdoppiano, i tessuti si sfilacciano, le prospettive oscillano. Allora si avverte che ci si trova nell’innominabile attuale.” È l’ignoto che appare, per citare un autore adelphi, e il noto che scompare.

Di educazione antifascista, Calasso ha pubblicato opere meritorie come La ghirlanda fiorentina di Luciano Mecacci, sull’assassinio di Gentile e il suo mandante, l’Intellettuale Collettivo, inclusi gli ex gentiliani o suoi beneficiari, poi passati dalla parte del sicario. O come La cultura del piagnisteo di Robert Hughes, contro il bigottismo progressista, la prima critica organica al politically correct.

Se Calasso fu un maestro, non fu però maitre a penser, non ebbe un suo pensiero originale; piuttosto fu letterato, erudito, raffinato sommelier di culture e scopritore, riscopritore d’autori. Magari a volte con la superbia di negare primogeniture altrui, scoperte e prime edizioni: per esempio quanti autori pubblicati da Alfredo Cattabiani con Borla e Rusconi, quante sue scoperte, con l’aiuto di Marcolla, Zolla e Del Noce, furono poi ripubblicate da Adelphi senza mai riconoscere i precedenti. Ogni libro edito da Adelphi anche se rieditato, usciva come inedito, rigenerato al fonte battesimale dall’editore… Ancor più se l’autore o l’opera poteva suscitare inaccettabili contiguità con editori “di destra”, reazionari, o tradizionalisti.

Di contro negli ambienti cattolici tradizionalisti, Calasso è stato bollato come uno gnostico, anzi il basista di una “setta gnostica” di autore adelphiani; un elitario esoterico, magari massonico, ai limiti della controiniziazione e del satanismo, sdegnoso nemico della cristianità, della fede popolare e del mondo reale, dominato da un demiurgo malvagio. In un suo testo recente, “Il libro di tutti i libri” Calasso ha girato attorno a Dio, senza affrontarlo e senza mai coglierlo con “cuore intelligente”.

La mitologia di Calasso è ricca e lussureggiante, esoterica e remota da ogni traccia di vita presente e di “umano troppo umano”: grande erudizione, raffinata compenetrazione nel mondo classico; manca tuttavia l’intuizione, la visione e l’elaborazione di un pensiero del mito; e manca il fervore dell’anima in cerca di sorgenti e fonti luminose. Spicca un algido, scostante, intellettualismo; si, di tipo gnostico. E serpeggia una pervasiva insistenza sull’uccisione rituale e la violenza trascendentale, fino al sacrificio umano, di cui le stragi dei nostri tempi sarebbero un succedaneo profano. Poi la sua predilezione simbolica per gli animali, “messaggeri dell’Invisibile”, insieme ai loro “cacciatori celesti”.

Vi risparmio il lungo rosario di opere e autori che dobbiamo a lui e alla sua casa editrice. Resta la nostra gratitudine e lo provano le nostre librerie piene di testi adelphiani. Con Calasso scompare non uno degli ultimi maestri di pensiero o ispiratori del nostro oggi, ma uno dei rari ponti per uscire dal nostro presente e andare incontro alle grandi avventure dello spirito e alle grandi visioni del mondo.

Marcello Veneziani, La Verità (30 luglio 2021)

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