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Dall'archivio:

Requiem per l’uomo con la sigaretta. Memoria di Marco Pannella da un lustro sottoterra

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Dalla Gualoises alla Gitanes, sempre di tabacco grigio, al mezzo toscano, o mezzo Garibaldi come si dice, in fumo permanente effettivo. Negli ultimi anni sembrava Toro Seduto, il capo e sciamano dei pellerossa. E proprio come Toro Seduto se ne stava confinato nella sua riserva dalla quale, per far sapere ai visi pallidi che era ancora vivo, anziché pirateggiare per radio e televisioni, che non lo ospitavano più, minacciava di darsi morte per fame e sete. E allora una scheggia di ribalta lo riprendeva, sbavagliato, vecchio e stanco. Stanco.

Giacinto Pannella detto Marco, la cui richiesta di Requiem mozartiano è stata prontamente accolta e dimostra una evidente e concreta tensione spirituale, perfettamente allineata con la sua vita, non mancherà a nessuno. A nessuno, neppure ai suoi, se ancora ve ne sono. Perché era ormai, e come lui tutti gli uomini del suo carisma, alle spalle di questo tempo. Un sopravvissuto di quella generazione che viveva la politica per principio ideale. Oggi, tutt’al più, la battaglia politica la si fa per i multavelox o per un do ut des, un dare per avere, talmente evidente e volgare che allontana l’elettore dall’eletto che non è nemmeno più tale ma un nominato. E sia.

Rara, nella platea della politica italiana, la sua dimostrazione di autentica cultura: non utilizzò mai il vetusto antifascismo per scaldare la pancia dell’elettorato. Sapeva, da autentico liberale, che il fascismo era morto e sepolto con il Duce appeso a testa in giù. E come ogni liberale, saranno poi alla fine stati non più di dieci in tutta la penisola, aveva in uggia ogni divieto ch’è il solo potere dello stato leviatano. Purtuttavia fu anche cialtrone, demagogo e istrione. Filosofo e Masaniello, ma mai per calcolo, solo per ideale e questo l’ha salvato dall’oblio in vita. Cantò le sue gesta con registro linguistico capace di miscelare l’alto ed il basso sino all’invettiva turpiloquia ch’è dell’odierno lessico abituale. Parlò e straparlò cercando di entrare nella morte ad occhi aperti e con la sigaretta in mano. No, non mancherà. Parlava una lingua in cui il registro del danaro era estraneo. L’odore dei soldi non lo sfiorava neppure. Non che gli fosse puzzo, seguendo la sua coltivata natura, cioè cultura, preferiva il profumo dell’ideale che è spirito, soprattutto quando si fa materia. Nell’attualità, dove il danaro è totem, il banchiere è sciamano. Uno come lui sta bene dov’è. Sottoterra. Tra i vivi.

 

Emanuele Torreggiani 

 

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