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Radici in crescita, sequenza giornaliera degli accadimenti, di Ivan D’Agostini- 29 febbraio

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Ventinovefebbraio

 

 

Dappertutto ho letto che per questo giorno occorrerà attendere altri quattro anni, e siamo al duemilasedici. Chissà come sarà il “vassoio” allora, parola che uso come avverbio di tempo di quel tempo che sarà, indipendentemente da noi. Il futuro esiste anche se noi non ci saremo[1]. Certo la capacità e possibilità di sentirne e utilizzarne l’esistenza è assoluta e importante. In genere noi viviamo il futuro di chi ci ha preceduto come il nostro passato, senza che ciò, possa, forse, variare o modificare l’esistenza altrui. Il tempo è una variabile, con la conoscenza noi attraversiamo questo spazio che, nella materia risulta ancora immodificabile, ma questo flusso può essere attraversato. C’è effettivamente una condizione, anzi abbiamo la possibilità di attraversare il passato e di andare pure nel futuro, con la meccanica quantistica, con l’analisi del radio carbonio, siamo in grado di tracciare mappe, di elaborare congetture, di definire profili, di creare immagini, le supernove che sono state ma che hanno attraversato lo spazio delle onde radio, delle frequenze che fluttuano nello spazio siderale per essere captate ora anche se, per la verità chissà da quanto girovagano li e solo ora noi, con i potenti (!?!) mezzi le abbiamo notate. Tutto questo pensiero, questa elaborazione mi fa pensare a come effettivamente potrei congelare questo sistema che ho appoggiato sul falso piano del mio coccio. Il “vassoio” non è statico non è fisso, esso si muove in mille congetture, attraversa la luce che lo permea giornalmente per fissare scomporre e ri-assemblare parti di ciò che già c’è. Carbonio, ossigeno, componenti essenziali della nostra materia galleggiano nello spazio. Respiriamo le budella del Cesare Augusto o nel naso c’è un pezzetto di coda di uno pterodattilo, insomma se il buon Einstein aveva ragione, se tutto è già qua, ma nel tempo, passato o futuro che sia, la materia non fa altro che modificare il suo stato apparente e di aggregazione allora il tempo non esiste, non c’è semplicemente e noi possiamo, nella materia e nella sua analisi, viaggiare nelle supposizioni e nelle aggregazioni e quindi nel tempo stesso. Il “vassoio” allora si scompone di fronte a me, assume altre forme e altri significati, ma non modifica la sua natura., a tratti effimera, di contenitore e di essenza di un mondo; un mondo che in maniera reale e non generato quindi di azioni artatamente sovrapposte, noi tutti realizziamo.

 

Un vaso di fiori, un’aiuola ben curata, anche quella che adorna il vuoto tra i binari del tram, il 9 (il vecchio 30 e il 29) che transitano su viale Montenero a Milano, un vuoto altrimenti secco e puzzolente, uno spazio riempito di bulbi, di semi che non muoiono mai, come sanno esserlo i nostri pensieri più profondi. E’ il “vassoio” di tutti noi, quello dove riponiamo i nostri segreti e le nostre speranze, ma anche i nostri dubbi, le nostre certezze e, quando l’incantesimo si compie, giorno per giorno, come giorno per giorno questo “vassoio” si riempie, di cose  nuove di forme nuove di ombre e luci sempre diverse, traiamo da esso la magica poesia della commozione. Lacrime che aprono il cuore, che toccano le corde della sensibilità della nostra pelle, che suona come un tamburo in festa, che emana sapori e segnali di disponibilità e di gioia. In fondo la condizione più semplice per l’uomo. L’uomo di sempre.

[1] Forse qualcuno lo potrà vedere tra mille anni, come un immagine registrata nelle onde che fluttuano tra gli spazi immenso dell’universo; nelle onde che si perdono dal cono della coscienza nel baratro dell’oscuro, nell’immensità indefinita, quella che gli scienziati hanno definito Materia Oscura (dal Corriere della Sera del 23.03.2013), quella materia scoperta, meglio dire intuita e dimostrata, da Vera Rubin nel 1964 assieme al collega, astronomo anch’egli, Kent Ford.

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