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Dall'archivio:

Quando Inge Feltrinelli (e i salotti borghesi) brindavano all’attentato contro Indro Montanelli, di Marco Valle

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Inge Feltrinelli è morta. Adieu. Aveva la sua età e la vita è stata (molto) generosa con lei. Terza moglie di Giangiacomo Feltrinelli, aveva ereditato parte della fortuna del suo lunatico consorte defunto dopo l’imbarazzante esplosione a Segrate.

Piccolo passo indietro. Nel 1972, il magnate pasticcione divenne marmellata maneggiando dinamite su un terreno di sua proprietà.  Un giochino pericoloso in nome della “rivoluzione proletaria” e altre puttanate. Il PCI (gente seria) lo aveva allontanato per tempo considerandolo un pericoloso avventurista, ma per la grassa borghesia milanese il Giangi ( per l’occasione il “compagno” Osvaldo) divenne un “eroe”, un “martire”.  Al Monumentale , il cimitero dei ricchi meneghini, si suonò l’Internazionale e molti pugnetti chiusi — unghie limate e pulite, mani senza calli o graffi — salutarono per l’ultima volta il baffuto Fidel di via Montenapoleone. Puttanate.

Solo molti anni dopo il figlio Carlo in “Senior Service” — un libro dolente, doloroso, vero — ha restituito suo padre alla realtà storica. Senza troppi sconti. Con pietas filiale.

. Passata l’ubriacatura estremista e sistemati i conti,  la signora con abilità e spregiudicatezza rilanciò l’intero complesso. Grazie a lei, a Carlo e ai loro collaboratori, la Feltrinelli è oggi un’azienda sana e vincente. Bene.

Dispiace però —  passata da tempo l’ubriacatura estremista e sistemati i conti — che la signora, a differenza del figlio, non abbia mai voluto fare i conti con il passato familiare. Con gli incubi del marito, con i suoi strambi maneggi con  servizi d’oltrecortina, con i terroristi nostrani. Con gli anni di piombo. Anzi. Per volontà di Inge (sembra…)  nei tanti negozi della catena troneggia sempre, incombente e severa, la figura del fondatore bombarolo (possibilmente accanto a quella del Che). Due icone borghesi di un impossibile palingenesi marxiana.  Due falliti di successo…

La storia scorre veloce, tutto si accatasta negli angiporti della memoria, molto si dimentica o si confonde in una melassa insapore. Ma qualcosa resta sempre. Come, ad esempio, le stilettate di Indro Montanelli, gambizzato dalle Brigate Rosse (gli eredi spuri del Giangi…) nel 1977. «La notizia che in fondo mi fa più piacere è che in due salotti milanesi — quello di Inge Feltrinelli e quello di Gae Aulenti — si è brindato all’attentato contro di me e deplorato solo il fatto che me la sia cavata. Ciò dimostra che, anche se non sempre scelgo bene i miei amici, scelgo benissimo i miei nemici».

Per il terribile toscano, la nemica perfetta.

Marco Valle, da Il Giornale

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