Tra poche settimane verrà distribuito nelle librerie Messaggerie musicali e nelle principali librerie italiane il libro “Il Sano Egoismo, pratiche del volersi bene” di Fabio Gabrielli e Floriana Irtelli, edito da Accademia Santelli.
Il libro mette a tema il fatto che in quanto esseri umani siamo perennemente tormentati nei nostri tentativi di scelta o di sintesi tra poli opposti, per i quali siamo spesso combattuti, tuttavia, non di rado, ciò che sembra inconciliabile, ad uno sguardo più attento, appare molto più lineare e pacificante: è il caso di precisare che l’apparenza di inconciliabilità è data dalla retorica sterile e buonista che contrappone rigidamente ed erroneamente le logiche dell’io alle logiche dell’altruismo.
Come andare oltre a questa apparente empasse?
In realtà bisogna considerare che senza un egoismo temperato e ben fondato, in cui consiste l’orgoglio (che è un’autentica virtù) ogni apertura al prossimo risulta posticcia, sfibrata, improduttiva.
Scopo di queste pagine è quindi quello di mettere a fuoco come l’io, in quanto energia creatrice, possa essere fonte di cura e realizzazione di sé; ciò è cruciale, soprattutto in un’epoca in cui fiducia ed entusiasmo sono sacrificati sull’altare della rinuncia costante, della restrizione e della metaforica piccola vita. Coltivare il proprio io, con temperanza, coraggio, perseveranza, significa quindi radicare una cultura dell’egoismo sano: la cultura di un io che si espone all’altro condividendo i propri progetti, la propria idea di mondo, apertamente e “stando sulle proprie gambe”.
Questo è il presupposto della relazione, che non coincide con il “mettere al centro la persona”, come vogliono i dispensatori del perbenismo e delle buone intenzioni, sovente politicamente corretti e falsi, ma coincide con incontrare l’altro tramite un nuovo modo di sentire secondo cui le relazioni originano e si producono sulla base dei sentimenti, non del puro concetto astratto: sulla base della tenerezza, della gentilezza, del riserbo e soprattutto del pudore, virtù oggi, spesso persa di vista.
Tutto ciò si declina anche mantenendo una salubre distanza, perché il prossimo si rivela mistero insondabile da rispettare: è sempre un segreto infinito, che in qualsiasi momento può stupirci. Dunque, l’altro lo posso incontrare se, a partire dal mio io ben coltivato, mi pongo a distanza, nel rispetto del suo mistero profondo, della sua singolarità mai profanabile, condividendo le nostre reciproche ricchezze d’anima per una civiltà dell’amore, e non pornografica.
In altri termini, una civiltà non rassegnata al narcisismo indifferente alle sorti degli umani, neppure a certa cultura della malinconia improduttiva, bensì una civiltà che sappia cogliere la bellezza non come qualcosa di trasparente, volgare e immediatamente fruibile, ma come un darsi vitale e pudico allo stesso tempo, come narrazione di vita inedita e sempre capace di sorprenderci. Dedicarsi alla cura e alla comprensione di “come sono io” non può quindi venir concepito come scisso e contrapposto alla conoscenza, investimento e comprensione del prossimo. Il libro, cerca dunque, di concentrarsi sull’equilibrio tra queste dinamiche, che, peraltro, implica una sorta di capacità sartoriale oggi assai problematica.