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Post Covid, il monito della Caritas Ambrosiana: un terzo di chi è stato colpito dalla crisi non riesce a ripartire

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MILANO – Poco meno di un terzo delle persone colpite dagli effetti del lockdown non è riuscito ad approfittare della riapertura delle attività economiche per migliorare la propria condizione e si trova ancora in necessità di un sostegno. È quanto emerge dall’ultimo report del Fondo San Giuseppe della Caritas Ambrosiana. Delle 3.172 persone aiutate da marzo 2020, 943 hanno chiesto ed ottenuto al termine dei primi tre mesi di contributi una prima proroga che ha esteso il sostegno per altri due mesi. Di queste 276 hanno avuto bisogno di essere aiutate anche oltre questo periodo.

 

Fra le persone maggiormente in difficoltà ad agganciare la ripresa sono i cittadini stranieri, con il 57,1%, seguiti dagli italiani (42,9%). La fascia di età più rappresentata è quella compresa tra i 35 e i 45 anni (38,3%), seguita da coloro che hanno tra i 45 e i 54 anni (31,3%). Le coppie con uno o due figli minorenni sono il 38,8%, alle quali si aggiungono coloro che hanno più di due figli a carico (11,9%). I cassaintegrati sono il 44,1% sul totale di chi ha rinnovato la domanda di aiuto, una percentuale più alta rispetto al dato calcolato sul totale dei beneficiari (41%).

“Anche senza considerare gli effetti dello sblocco dei licenziamenti e degli sfratti che potremo misurare solo in autunno, già ora possiamo dire che la pandemia lascerà ferite profonde nel tessuto sociale”, spiega il direttore di Caritas Ambrosiana, Luciano Gualzetti. “Molti di coloro che hanno perso il lavoro o sono finiti in cassa integrazione, soprattutto in quei settori che più duramente hanno subito il lockdown, non sono ancora in grado di rialzarsi e di camminare con le loro gambe. Per costoro i tempi di riabilitazione saranno più lunghi rispetto a quanto era stato preventivato all’inizio della crisi. Per questa ragione la Caritas Ambrosiana continuerà a sostenere le situazioni più fragili tramite il Fondo san Giuseppe voluto dall’Arcivescovo Delpini e il Fondo di assistenza diocesano”.

 

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