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Dall'archivio:

O come Ospitalità, l’alfabeto psicologico di Floriana Irtelli & Fabio Gabrielli

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Giovanni Pozzi, singolare e intensa figura della cultura novecentesca, in Tacet così si esprime:
“Del silenzio, il libro, deposito della memoria, antidoto al caos dell’oblio, dove la parola giace, ma insonne, pronta a farsi incontro con passo silenzioso a chi la sollecita. Amico discretissimo, il libro non è petulante, risponde solo se richiesto, non urge oltre quando gli si chiede una sosta. Colmo di parole, tace”.

L’immagine che ci trasmette assurge, a nostro avviso, a metafora incarnata della condizione umana,
della relazione come ospitalità di un volto innumerabile, incalcolabile.

 

La pandemia ha acuito il tema dell’ospitalità, non solo in riferimento alla geopolitica migratoria, ma anche alle dinamiche del quotidiano in cui il contatto si è trasformato in contagio.

Come il libro che ospita con discrezione, pronto a offrire, nel silenzio che si fa grembo accogliente, parole di vita, così noi siamo chiamati a farci scrigno di singolarità inverificabili.

Il dono dell’ospitalità, che non vuole controdono per non fare dell’antropologia un commerciologia, della relazione uno scambio, prefigura uno scenario umano in cui l’altro è sempre distante, mai un nostro possesso, mai verificabile o programmabile, eppure, senza alcuna garanzia di risposta, sempre ci interpella con inquietudine a fornire una risposta, a esibire un gesto di accoglienza.

 

 

L’ospitalità, tuttavia, non vale solo per le potenze finite che siamo, ma anche per quella potenza che
continuamente ci eccede, la natura, di cui il virus che sta flagellando il nostro tempo è paradigmatica espressione:
“La natura non è un’autorità morale, non ha intenzioni, non premia né punisce, e soprattutto è indifferente alle nostre sorti. Quando capiamo questo, allora la categoria di colpa metafisica viene sostituita da quella di responsabilità umana. Non siamo indispensabili, e quindi siamo padroni del nostro destino. La biosfera potrebbe benissimo fare a meno di noi, quindi sta a noi capire che dobbiamo rispettarla se non vogliamo estinguerci”

(A. Pascale, T. Pievani).

La responsabilità è custodia della biodiversità da cui dipende la nostra sorte, nel segno di un uso accurato e sicuro della tecnologia a nostra disposizione con cui preservare le terre e le acque.
Ospitare la sostenibilità, fare della responsabilità il cuore della biodiversità, significa rendere sostenibile la società, quindi la cultura, altrimenti ci limiteremmo a un uso del termine “sostenibile” solo in senso ideologico.
Una cultura sostenibile può essere progettata solo sulla base di una formazione permanente delle coscienze, in particolare di un’organica messa in scena dell’educazione dei sentimenti, della filosofia del sentire.
Non si dà ospitalità, non si genera responsabilità se manca un pathos, una tensione emotiva, un flusso caldo del cuore, una vis immaginativa morale.
Stiamo parlando di quel sentire stupefatto che origina la conoscenza e che si riverbera nella “situazione emotiva” (Befindlichkeit), quell’esperienza affettiva che feconda il comprendere, il fare presa sulla realtà, di cui parla Heidegger, quell’accostamento patetico all’esposizione della nuda pelle dell’altro, che innerva il tracciato filosofico di Jean Luc Nancy, quella responsabilità colma di passione che riconosce la nostra stessa carne in quella potenza della Natura che ci trascende.
Tra la nostra carne e quella del mondo c’è continuità sensoriale, un’immersione secondo misura del nostro esserci nell’essere in cui siamo deposti: dove l’umano instaura la frattura, secondo strutture logiche padronali, la carne del mondo risponde con l’abisso della sua potenza.
Prossima Lettera P come Perdono.

Piccola biblioteca dell’anima

J. Derrida – A. Dufourmantelle, Sull’ospitalità, tr. it. Dalai Editore, Milano 2000. Jacques Derrida, uno dei filosofi più originali e intensi del Novecento, risponde alle domande di Anne Dufourmantelle, la curatrice di questo saggio, sul grande tema dell’ospitalità, suggerendoci riflessioni e percorsi alternativi al comune modo di sentire e vivere la questione dello straniero. 

 

 

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