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Nutrire il sistema immunitario ai tempi del coronavirus

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Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

In queste giornate di quarantena per emergenza Covid-19, sui social, blog, pop-up di siti web, newsletter promozionali di aziende, siamo letteralmente inondati da slogan nutrizionali che ci invitano ad integrare più vitamine.

Tanto per fare un esempio, un noto giornalista, pubblicizza l’utilizzo di vitamina C e D (“a dosi da cavallo”) per le loro proprietà coadiuvanti del sistema immunitario, promettendo addirittura una protezione nei confronti del Coronavirus.

Ma quanto c’è di vero? Serve veramente integrare o supplementare, sperando in un aumento della
funzionalità del sistema immunitario?

Andiamo con ordine e parliamo di integrazione…

Gli integratori vengono definiti dalla normativa (Direttiva 2002/46/CE, attuata con il decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 169) come:
“prodotti alimentari destinati ad integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare, ma non in via esclusiva, aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate”.

Integratori e supplementi per la legislazione sono sinonimi.
Nella pratica alimentare però vi è una grossa differenza in quanto si integra nel caso in cui con la sola dieta non si raggiungano i fabbisogni ottimali di quel nutriente, mentre si supplementa quando si aumenta volontariamente l’introito di un nutriente oltre i valori ottimali cercando di ottenere un beneficio psico-fisico o di altro tipo.

In ogni caso non bisogna superare l’UL (Tolerable Upper Intake Level) di un nutriente ovvero l’apporto alimentare massimo che non è correlato ad effetti avversi nella maggior parte della popolazione.

Superare oltre una certa quantità è rischioso!
Un’altra questione fondamentale da tenere presente è che gli alimenti sono sempre meglio dell’integratore formulato in quanto contengono plurimolecole che interagiscono in modo sinergico, conferiscono benefici multipli, facilitando la biodisponibilità e quindi l’assorbimento dei nutrienti nell’organismo.

L’integratore formulato in questi termini presenta limiti.…parliamo ora del sistema immunitario (SI)…

Già da tempo è noto che esistono una serie di molecole contenute nei cibi dette immunonutrienti che agiscono da modulanti, ovvero aumentano o deprimono l’attività del SI, sia per le fasi iniziali della risposta infiammatoria (fase pro-infiammatoria) e sia per le fasi tardive di remissione dell’infiammazione (fase anti-infiammatoria). Questo perchè quando veniamo a contatto con un patogeno, batterio, virus o fungo, le risposte infiammatorie iniziali ci aiutano a debellarlo e successivamente, una volta sconfitto, c’è bisogno di rimuovere le molecole infiammatorie che se lasciate in circolazione possono determinare danni ai nostri tessuti cellulari. Gli immunonutrienti sembrano agire prevalentemente con meccanismi aspecifici sull’attivazione di cellule come macrofagi, granulociti, leucociti, linfociti NK, ma anche linfociti B, T e Treg. Il risultato finale però dipende dal bilanciamento degli effetti stimolanti e inibenti.

Come si può già intuire la faccenda è abbastanza complessa. Non è il singolo nutriente che produce una risposta diretta! …chi sono i soggetti a rischio di deficit immunitari? In generale tutte le persone che sono soggette a uno stress.
In loro si osserva un aumento del cortisolo, il nostro ormone dello stress, che ha una spiccata azione immunodeprimente e quindi riduce l’attività del SI.

Lo stress è determinato da cause psico-fisiche.
In primis può essere dovuto ad uno stato patologico ad esempio in chi ha patologie oncologiche
e autoimmuni, in chi ha un “semplice” raffreddore o altro. Oppure per quegli atleti che sono impegnati in costanti esercizi fisici ad elevata intensità, dove si può arrivare anche all’overreaching, ovvero quella condizione in cui si ha un decremento a breve termine della capacità prestativa, fino ad arrivare nel peggiore dei casi all’overtraining, vera e propria sindrome da affaticamento.
Ma anche in tutti i soggetti anziani che vanno incontro ad un fenomeno detto inflammaging, ovvero uno stato di infiammazione cronica di basso grado che peggiora con il progredire dell’età.
Attenzione però che se sei giovane, ma hai la pancetta addominale, i tuoi adipociti producono una serie di citochine pro-infiammatorie e anche tu sviluppi l’inflammaging che può progredire poi nella
sindrome metabolica, una combinazione pericolosa di alcuni fattori di rischio cardiovascolare.
Anche la malnutrizione compromette il SI, ma è anche vero che un deficit del SI dovuto a
qualunque stressor compromette lo stato nutrizionale.
…cosa può incidere sulle carenze del SI?
Un argomento, sempre di maggior interesse nel mondo scientifico è la permeabilità intestinale, ovvero quanto la nostra barriera fisica, costituita da cellule intestinali che si tengono adese le une alle altre tramite giunzioni strette, sia in grado di impedire il passaggio di sostanze esterne e patogeni dal tubo digerente all’interno del corpo.
Il nostro intestino è ricoperto da un tessuto linfoide diffuso, il GALT (Gut-Associated Lymphoid Tissue), che rende questa barriera fisica una delle prime armi che ha a disposizione il nostro SI.
Dobbiamo però parlare anche della nostra microflora batterica intestinale detta “organo invisibile immunocompetente”.
É risaputo che uno stato di disbiosi, cioè l’alterazione del rapporto delle varie specie batteriche che colonizzano il nostro intestino, determina importanti effetti sui livelli di infiammazione e quindi sul nostro SI.
Una dieta ricca di acidi grassi, ed in particolare saturi, è in grado di determinare una riduzione della funzionalità della nostra barriera intestinale, con conseguente aumento del trasporto di endotossine all’interno, aumento delle citochine pro-infiammatorie come TNFα e riduzione di quelle anti-infiammatorie come IL-10.
Nella disbiosi si osserva un aumento di E.Coli, Y. Enterocolitica e P. Aeruginosa, i quali grazie alla connessione del gut-brain axis (GBA), fanno aumentare la produzione di ormoni dello stress come il cortisolo ad azione immunodeprimente. Si ha invece una riduzione di quelle specie batteriche come ad esempio l’Oscillospira che producono citochine anti-infiammatorie come la IL-10.
Anche la quantità di grasso corporeo determina un’alterazione delle popolazioni presenti nell’intestino con aumento dei Firmicutes, specie batterica che permette di estrarre più energia dagli alimenti, quindi maggior tendenza ad ingrassare e supportare così l’infiammazione cronica di basso grado di cui abbiamo accennato prima.
La disbiosi in sintesi, determina una riduzione di alcuni ceppi batterici rispetto ad altri, deputati alla produzione di acidi grassi a corta catena (SCFA) che hanno ruoli di potenziamento della funzionalità di barriera intestinale e di attivazione del SI, portando a quella che viene chiamata la Leaky Gut Syndrome.
Il Giornale Dei Biologi (Febbraio 2020 | Anno III – N. 2) riporta “Tutte le infezioni, comprese quelle legate ai virus respiratori come il Covid-19, il nuovo Coronavirus, dipendono da un microbiota “disbiotico”, in definitiva la salute del sistema immune inizia con la salute del microbiota” E questo ritorna con tutto quello che ci siamo detti fin ora.

…come fare quindi a migliorare un quadro disbiotico?
Possiamo sicuramente utilizzare ceppi probiotici con comprovato profilo di sicurezza, la problematica però riguarda quale o quali scegliere, il dosaggio da utilizzare e l’effettiva capacità di colonizzare l’intestino sulla base della variabilità individuale sempre presente.
La dose giornaliera di prodotto raccomandata da linee guida del Ministero della Salute deve contenere una quantità pari a 10 9 cellule vive per almeno uno dei ceppi presenti.
Si è abbastanza concordi nell’affermare che la durata deve essere di almeno un mese.
Studi in vivo e in vitro hanno dimostrato l’efficacia dei Lattobacilli e Bifidobatteri nell’aumentare l’attivazione di linfociti Treg, delle cellule Natural Killer, nell’aumentare la produzione di IgA e nel ridurre il livello di infiammazione limitando il rilascio di citochine pro- infiammatorie prodotte dai macrofagi. Le specie probiotiche più promettenti sembrano essere; B. fragilis, B. animalis, B. lactis, B. bifidum, B. infantis, L. casei, L. rhamnsosus ed L. plantarum.
In questo caso la supplementazione potrebbe essere un valido strumento di prevenzione, ma al momento non esistono ancora protocolli standardizzati e necessitano ulteriori studi.
Altre strategie contro la disbiosi invece prevedono l’utilizzo di prebiotici, ovvero la “pappa dei batteri” o diete ad alto contenuto di fibre provenienti prevalentemente da cereali integrali.
Un altro approccio (Nutrients 2020, doi:10.3390/nu12030622) è quello che prevede la restrizione
delle calorie alimentari in particolare con riduzione dei carboidrati (es: diete chetogeniche), questo ha dimostrato avere effetti positivi di adattamento metabolico che comportano l’autofagia, il processo di riciclo degli organelli cellulari non più funzionanti e quindi la successiva biogenesi mitocondriale (nascita de novo) che permette avendo nuovi mitocondri funzionanti, di ridurre la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) infiammatorie e quindi diminuire gli stressor infiammatori.
Le diete chetogeniche devono essere sempre prescritte e controllate da uno specialista.
No assoluto al fai da te!
Quali sono i nutrienti fondamentali per il corretto funzionamento del SI?
Prima abbiamo detto che la malnutrizione del soggetto è uno stressor del SI.
Senza entrare nel dettaglio, vitamine D, A, C, E, B1, B6, B12 e sali minerali come zinco, selenio, rame, magnesio, hanno specifiche azioni immunomodulati.
Si deve quindi evitare una loro carenza da fonti alimentari.
Per quanto riguarda la vitamina C, che ultimamente (con emergenza Covid-19) sembra essere “la panacea di tutti i mali”, bisogna dire che si!, ha proprietà antiossidanti di riduzione dell’infiammazione, è necessaria per la produzione di collagene e quindi direttamente connessa all’integrità della barriera intestinale e si!, riesce a ridurre l’immunodepressione in atleti sottoposti a esercizi fisici intensi, ma assumerla in megadosi superiori ai 1000 mg/die e quindi supplementarla cercando di trovare una qualche sorta di protezione miracolosa che ci rende immuni al Covid-19, è pericoloso e sbagliato.
Ricordatevi che dosi sopra i 1000mg (Ministero della Salute – Revisione febbraio 2014) possono causare effetti collaterali come danni al DNA, formazione di calcoli renali di ossalato, carenza di rame, eccessivo assorbimento di ferro e non hanno un razionale in quanto saturano i trasportatori intestinali e l’eccesso non viene assorbito, ma eliminato, quindi anche un inutile spreco di soldi.
L’ assunzione di due o tre porzioni al giorno di frutta come kiwi, fragole, clementine e arance, permette di coprire il fabbisogno giornaliero. …esistono quindi alimenti utili al SI?
Si!, e qui mi rifaccio alla Società Italiana Di Nutraceutica Umana (SINUT).

Come detto in altri miei articoli i nutraceutici sono “componenti alimentari o principi attivi presenti negli alimenti che hanno effetti positivi per il benessere e la salute, ivi inclusi la prevenzione e il trattamento delle malattie”.
Tra questi troviamo Acidi Grassi ω3, Resveratrolo, Lattoferrina del colostro bovino, Echinacea, papaya e aglio.
Per quanto riguarda il resveratrolo, nella forma trans, sembra possa sopprimere l’attivazione del Fattore Nucleare kappa B (NF-Kb) indispensabile per la trascrizione e l’assemblaggio delle proteine virali dei principali virus respiratori interferendo così la replicazione degli stessi.
Confermo però che al momento non esistono protocolli che stabiliscano la durata e modalità di assunzione di questi preparati nutraceutici. Il SI presenta meccanismi molto complessi di interazione e sono necessari altri studi per produrre evidenze scientifiche.
Lo stesso Arrigo Cicero, presidente della SINUT, il 18/3/2020 ha dichiarato che non si riesce a stimolare in acuto il sistema immunitario (https://youtu.be/eswmW3jPXb0).
In conclusione tornando alla prima domanda; Serve veramente integrare o supplementare?
Ad oggi possiamo dire che supplementare non aumenta l’immunità e non ha nessuna evidenza scientifica.
É giusto integrare solo in caso di una documentata carenza alimentare o di un comprovato stato stressogeno, ma la valutazione deve essere sempre lasciata ad un professionista.
Fare regolare attività fisica, in particolare l’endurance, cercando di migliorare la propria soglia aerobica, ma senza esagerare, riduce i fenomeni infiammatori e allena il sistema immunitario.
In chi la pratica già in modo amatoriale e per gli atleti che riprendono ad allenarsi dopo periodi di riposo, l’integrazione, specie con complessi multivitaminici antiossidanti, deve essere bocciata, in quanto produce un effetto contrario a quello sperato, riduce la risposta ormetica dell’organismo, ovvero la capacità di incrementare la produzione dei propri enzimi endogeni antiossidanti, ma può essere sensata invece per atleti sottoposti ad un calendario denso di intensi esercizi fisici.
Per tutti e come sempre, le buone abitudini, quindi un’alimentazione sana, varia ed equilibrata si costruiscono in cronico e forniscono tutti i nutrienti di cui l’organismo ha bisogno per il
mantenimento del SI.

 

Se vi interessano questi o altri argomenti, scrivetemi pure a ff.nutrizionista@gmail.com e nei
prossimi articoli o in studio ve ne parlerò.
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Dr. Fabio Ferrario
Biotecnologo e Biologo Nutrizionista
Specializzato in scienze della Nutrizione Umana
Albo dei Biologi, sezione A, n° iscrizione AA_081672

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