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Napoli e blatte…

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E così, uno tra i miei conoscenti più cari, Eduardo, francesista raffinato nella traduzione come nell’invettiva salace, dal quarto piano del suo quartierino di tre stanze di via Diocleziano, quartiere Fuorigrotta, li ha visti, poggiato alla torta ringhiera del poggiolo forgiata nei secoli dalla salsedine. Quattro rampe senza ascensore ma ad ogni pianerottolo, nella penombra raffinata da spezie alate che di ogni dì fanno lieve dono di festa, una panchetta intarsiata con portacenere di bronzo a testa di leone. Il portone, che sarà stato lavorato dal fasciame di un antico bastimento scogliato nel Seicento, era stato sprangato “come dire, che chi è fuori è fuori, e chi sta dentro è dentro, e così, tra il dentro e il fuori, sempre di carcere si parla”. E se n’è stato lì Eduardo, a spettatore. “Perlomeno il conforto di una sigaretta, che sai, a teatro, da quando siamo un igienizzato popolo europeo, ogni voluta è negata. Proibita severamente per legge. Arresto. Arresto immediatissimo ed con sirena portatile. Colto in flagrante dalla fragranza della mia Camel, che aspiro per commemorare Marlene. E chi sarà mai? Amaro volto lontano. E me ne sono stato li in visuale. Ma che dici amico mio? Non sono vandali. I vandali ebbero la piena dignità di un popolo barbaro. Un popolo. Barbaro. Questi sono insetti. Blatte. Blaterano, blaterano. Blaterano. Prigionieri di un’ignoranza immarcescibile. La rivolta. Ma dopo le nove e trenta perché prima viene il sonno. Viene il sonno nelle cameretta che mamma e papà hanno accomodato per lo scarrafone suo. E ci sta. Ficcaci un occhio di straforo e ci vedi, nella cameretta del rivoltoso, gli uccellini colorati, i colibrì palpitanti e le farfalline mille colori, un’amazzonia di plastica allestita per il rivoltoso quando fu, egli fu, piccolo stronzetto capriccioso scampato: causa la solenne democrazia della parola, ad ogni rasserenante schiaffone. E così, i figli di questa piccola borghesia, che tutt’immierda com’ebbe a scrivere sommamente il Carducci, il Carducci che un mio collega, ma di stipendio, definiva il trombone sfiatato della retorica prefascista, un cretino ma vincitore di concorso. E così, con questi caporali di ventura, hanno allevato blatte. Salvini? Salvini è un pretesto. Ci si raduna per il cornetto e cappuccino pagati con gli spiccioli rubati dal borsellino della nonna che gli mantiene i vizi con la pensione sociale. poi ci si incappuccia e si marcia all’assalto. Arma bianca, corpo a corpo. Cassonetto dell’immonnezza; tavolino con tovaglia candida e annesse seggiole del plateatico; vetrina di Bimbilandia; specchietti retrovisori di una Fiat Punto comprata a rate Matusalemme; ma, i più ardimentosi, da decorare sul campo, svellano il porfido, e lo scagliano ai carabinieri schiumanti d’ira mortificata costretti a farsi scudo sotto il plexiglass mentre ambirebbero a far scrocchiare le cartilagini della blatte. Giusto per dimostrare scientificamente nel subitaneo vomito di cornetti alla crema e cappuccini che all’assalto si va a stomaco vuoto. La peggiore borghesia ha messo al mondo queste blatte. Rivoltosi con pensione surrettizia. Quando gli muore la nonna, hanno il destino segnato: debbono lavorare. Spazzini, ma in Germania, nella Gran Bretagna esiliatasi per dovere di storia, che qui, con i diplomi incollati alla cameretta come carta da parati, ci fanno le canne. Le blatte in rivolta, qui a lavorare, tengono vergogna. E concludo questa conversazione tra due mondi. Il sindaco pari loro è. Un rivoltoso, con stipendio e pensione, funzionarietto da parastato. Non rivoluziona nulla. Una blatta con bandana arancione. La bandana. Fa tanto pirata. Del luna park. Statti bene. Sei obbligato, amico mio”.

Emanuele Torreggiani

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