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Mimmo Lucano: summum ius, summa iniuria- di Emanuele Torreggiani

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Già lo scrisse, in quel tempo antico di cui si ebbe intuizione negli anni nostri del noviziato e presto, finita l’adolescenza noi se ne disperse ogni memoria e ricordo, Cicerone col tono sapiente e ammonitivo: summum ius, summa iniuria.

Ed ora, nel nostro tempo, in questo ‘innominabile attuale’ noi tutti cogliamo, del motto, il pieno valore negativo. Lo sentiamo, con quel brivido di ripulsa sottopelle, alla nuova che Domenico Lucano, il sindaco detto Mimmo, è stato condannato ad un filotto da schedina. Tredici anni e rotti. In pratica, anche per gli estranei, quale chi scrive, alla lingua del diritto, gli si è fatta conta e somma da bottega di una miriade di reati, tutti amministrativi. Sarà così di certo. Ma ne ebbe il signor sindaco un guadagno personale? No. Un tornaconto per famigliari o familiari o gente sua? No. Un beneficio financo esiguo in termini di ricavi elettorali? No. Ed il no non sia qui inteso quale mia opinione, il no è scritto nelle righe a sentenza. Contravvenne a regole che tali sono e che per chiunque valgono. Son regole, si sa. Le contravvenne in contraccambio di vite. Certo. Ma le contravvenne. E contravvenendole ha seguito, forse con insaputa incoscienza, una legge dettata dagli dei prima ancora che gli uomini ne avessero degli dei ogni intuizione. Una legge non scritta, non registrata in rubrica di regola, che purtuttavia esiste. E risponde in natura umana a pietà. Sofocle ne tesse di Antigone che contravviene alle regole del tiranno per seguire lo spirito degli dei. Come si vede la somma giustizia è somma ingiustizia. Cicerone l’aveva ben colto. Il Lucano agì da irregolare innocente per innocenti. Ed è, come solito, sempre l’innocenza che guadagna severissima condanna.

Emanuele Torreggiani

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