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Medvedev, l’Orso si prende anche Shangai. Teo Parini ci aveva visto giusto..

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Domenica 14 il tennista russo Medvedev ha vinto il torneo di Shangai, rifilando un secco 6-4 6-1 a Zverev, che in semifinale aveva battuto il nostro Matteo Berrettini. In agosto il  nostro Teo Parini ci aveva visto (come al solito) lungo: riecco il suo pezzo.

 

Daniil Medvedev – che non è parente né con l’ex tennista professionista Andrey né con Dmitry, il delfino del Presidente Putin – da ieri mattina è il nuovo numero cinque delle classifiche mondiali di tennis grazie al trionfo conseguito nella notte italiana a Cincinnati, primo ma con ogni probabilità non ultimo Masters 1000 di una carriera che si avvia a diventare luminosa. Non serviva certo essere scout alla Bollettieri per aspettarselo.

Nato a Mosca ventitré anni fa da papà Sergey e mamma Olga, Daniil, soprannominato Orso per ovvi motivi di stazza e anche per il suo essere sornione al pari dell’animale siberiano che nell’immaginario collettivo simboleggia la Russia, è il prototipo meglio riuscito dell’Era tennistica attuale, somma certosina dei requisiti funzionali al dominio di una disciplina che un giorno smetterà di essere tiranneggiata dal triumvirato pigliatutto. E non sarà talentuoso come Federer, resiliente come Djokovic o gladiatore come Nadal ma entro la cerchia degli umani rischia seriamente di essere di un altro livello, soprattutto ora che anche il caratterino che fu decisamente spigoloso, per usare un eufemismo, pare essere smussato a dovere. Non si giocano, infatti, per una fortuita casualità tre finali, di cui due di assoluto prestigio, in tre settimane consecutive come ha fatto il Medvedev tutta sostanza sulla strada che porta dritta a New York. La Next Gen è qui, molto più che altrove.

Due metri per un’ottantina abbondante di chili, Daniil, che non più tardi di un paio di stagioni fa gettò qualche spiccio alla giudice di sedia in segno di disprezzo per un torto a suo dire subito e che rimediò solo qualche mese prima una brutta accusa di razzismo per una frase pronunciata nei confronti di un collega, si è dunque fatto grande. Depositario di un tennis che a definire privo di fronzoli si sbaglia per difetto, Medvedev può contare su diverse eccellenze nel proprio cilindro. Vediamo quali.

Il rovescio intanto, colpo bimane come la stereotipata modernità impone ma portato in maniera perfettamente ortodossa, didattica e dunque lodevole, con una rotazione dal basso verso l’alto ridotta al minimo sindacale e con un anticipo asfissiante. Piatto, violento, penetrante: un’iradiddio. Il russo interpreta la diagonale sinistra come pochissimi altri eletti al mondo, in altre parole fa ciò che gli pare, e su quella traiettoria che ne incarna l’elitaria comfort zone scardina le certezze altrui con irriverente serenità. Una meccanica lineare, la sua, quindi poca fatica muscolare e tanta velocità di palla.

Il diritto, al contrario, ha una fase preparatoria tutta particolare ma, benché meno fluido nell’esecuzione del rovescio di cui sopra, è di sicura affidabilità. Morale, l’asimmetria piuttosto evidente tra i due lati del gioco di Medvedev è da attribuire più alla magnificenza del rovescio che a un presunto deficit nel colpo opposto, sporcato da un top spin leggermente più marcato ma ugualmente violento e, quel che più conta, di elevata percentuale. Gran bel connubio per quello che si è soliti chiamare il colpo di scorta.

Ciò che più sorprende e che lo differenzia in positivo dai colleghi strutturalmente similari, sempre per rifarsi alla mole imponente, è tuttavia la mobilità da soggetto (quasi) brevilineo, frutto di un footwark millimetrico e di una coordinazione delle lunghe leve invidiabile. Il risultato di questa dinamica pulita è che per sparare bordate al russo non serva necessariamente colpire da fermo, perché grazie alla capacità di ricerca della palla coi piedi cui si faceva cenno poc’anzi ha la possibilità di posizionarsi nella maniera ottimale per l’impatto anche a seguito di spostamenti significativi. Un corri-e-tira di offesa, poco sparagnino, più attaccante che contrattaccante e in grado di non eccedere negli errori propri di chi viaggia sempre con la tavoletta dell’acceleratore pigiata.

Se il gioco di volo risulta essere non pervenuto, come triste consuetudine di questi tempi omologati, e il servizio risponde invece ai canoni necessari per ambire a diventare un assoluto top player (velocità di crociera, variazioni, percentuali di conversione positiva dei punti con la prima palla), è con il fondamentale della risposta che Daniil aggiunge ulteriore unicità al suo tennis d’autore. Ottima lettura delle traiettorie, intuito, spiccata coordinazione occhio-mano, posizione naturale aggressiva sul campo e timing da metronomo fanno di lui uno dei migliori interpreti del colpo di inizio gioco. Non serve sottolineare quanto sia fondamentale nell’economia del tennis moderno far partire con continuità gli scambi nei game di risposta, mettendo così pressione all’avversario fin dall’uscita (disagevole) dal servizio. Cosa che al moscovita riesce assai bene.

Era dai tempi di Davidenko che un tennista russo non raggiungesse la Top 5 mondiale ma, a differenza dell’illustre predecessore, Daniil sembra globalmente meglio attrezzato per lasciare il segno anche in un Major sulle due settimane e i cinque set. Magari già dai prossimi US Open, torneo ormai alle porte che potrà affrontare con alle spalle l’inerzia e la fiducia nei propri mezzi che solo le grandi vittorie possono assicurare. Cincinnati, per esempio. E se una rondine non fa mai primavera, la sconfitta inferta a Djokovic sabato scorso, specialmente per come è maturata, è comunque un segnale inequivocabile che Medvedev lancia ai suoi rivali. La sensazione tangibile è che chi ambisce ai traguardi più prestigiosi da oggi dovrà fare i conti con lui.

Sfacciato, tennisticamente arrogante il giusto come chi percepisce appieno le proprie capacità non comuni e nemmeno troppo simpatico, o almeno così dicono, l’Orso trapiantato in Francia è poco incline a concedersi a forme di stile fini a sé stesse, tanto che “più efficace che bello” potrebbe essere il mantra quale redditizio marchio di fabbrica. Programmato per vincere sporco, ma nell’accezione edificante e diabolica teorizzata dalla vecchia volpe di Gilbert, Medvedev sui playground ha quindi definitivamente assunto i gradi di peggior avversario possibile. Per tutti, alieni inclusi.

Dobro pozhalivat’ Daniil.

Teo Parini

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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