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Magenta: una vita da pilota. Intervista Luca Vanossi

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Intervistiamo oggi il docente del corso, organizzato dalla nostra Accademia di Scienze psicografologiche, sulla “Paura di volare”: il pilota d’aereo Luca Vanossi.

Come definiresti la tua vita?

La definirei una vita piacevolmente caotica e molto varia. Mi trovo infatti in una situazione particolare: lavoro per una compagnia estera europea che ha una base in Italia, a Roma, quindi devo spostarmi parecchio e volo in giro per il mondo. La compagnia è multibase perciò devo partecipare a corsi ovunque in Europa: a Oslo, Stoccolma, Londra, Parigi, Roma e Barcellona. Sono molto in movimento.

Quali sono i vantaggi di questo stile di vita?

È stimolante. È un lavoro molto aperto nel quale si incontrano tante persone, si parlano molte lingue, si vedono cose nuove: si ha la possibilità di conoscere mondo, così quando si torna in Italia si hanno le idee più chiare degli aspetti positive e negativi presenti perché ci si è confrontati con altri punti di vista.

Hai un team di lavoro stabile o vario?

Anche se volo in destinazioni che già conosco, i colleghi cambiano sempre; magari li ho già incontrati in precedenza, ma sono mesi o addirittura anni che non li vedo. L’ambiente è vario e questo aspetto mi piace, però presenta anche degli svantaggi: non conosco le persone con cui lavoro. È molto importante in questo senso mantenere una comunicazione efficace: come pilota devi essere sempre molto aperto, chiaro e gentile; sei all’interno di un teamwork, quindi devi riuscire ad ascoltare le persone e a farti ascoltare. A maggior ragione se lavori in una compagnia internazionale come la mia che è norvegese e l’ambiente multiculturale (le persone arrivano infatti dalla Scandinavia, dall’Italia, dalla Grecia, ma ci sono anche thailandesi e americani). La lingua che si parla, anche per le operazioni di bordo, è l’inglese, persino se voli con un equipaggio italiano, per problemi di standardizzazione. A volte faccio fatica a trovare le espressioni in italiano proprio perché l’inglese diventa la lingua corrente! Ci sono delle mattine in cui sono particolarmente stanco e accendere la parte dell’inglese nel cervello per dover parlare è un po’ faticoso.

Come interpreti il tuo ruolo di responsabilità all’interno del gruppo di lavoro?

Esistono delle regole per riuscire ad esercitare una leadership sull’equipaggio in senso positivo. Ho un ruolo dato dalla compagnia, che è quello di gestire ed essere responsabile di un gruppo di tre piloti e nove assistenti di volo; ho una missione da compiere, quella di portare l’aereo da un posto ad un altro nel modo più sicuro, economico, veloce e confortevole possibile per i passeggeri. Delle linee guida aiutano a mantenere coeso il gruppo, ma sta poi a me, al mio comportamento e alla capacità organizzativa riuscire a farlo: il leader non è un boss; un leader è tale perché ha dei followers, ha qualcuno che lo segue, non perché è il capo che impartisce degli ordini. Generalmente il boss è tollerato e  seguito finché qualcuno non lo ascolta più. Il leader invece deve riuscire ad essere convincente: quando ti presenti devi essere sorridente, sicuro e far vedere che sai dove stai andando. Devi essere la persona che dà l’impulso costante a tutto il gruppo.

Ci sono due vite distinte che si possono intraprendere facendo il pilota: la vita del pilota di charter e l’altra del pilota di linea. A quale appartieni?

Le ho fatte entrambe e quella che mi è piaciuta di gran lunga di più è la prima perché ti permette di andare in posti tipicamente di vacanza nei vari oceani, nel Mar dei Caraibi, alle Maldive, alle Seychelles, in Kenya, in Messico, mentre i piloti di linea vanno nelle città dei paesi più sviluppati: New York, Los Angeles, Miami, San Francisco, Città del Messico… Il pilota di linea si trova a vivere un mestiere più “d’ufficio”: va in grandi città per brevi periodi e in posti meno esotici. Il vantaggio dei voli charter è che passi più tempo in una destinazione, puoi vivere il posto oltreché passare del tempo con i tuoi colleghi e ciò crea una notevole vita di gruppo. Sto scrivendo un libro che ha come background tutto quello che è successo nelle soste che ho vissuto per dodici anni: la vita che hai come pilota di charter è incredibile, ti diverti tantissimo. Il mio interesse principale è sempre stato quello di vedere il mondo. Tanti piloti invece fanno questo mestiere solo per pilotare l’aereo, per la “tecnica”, e ci “muoiono dentro” («guarda com’è bello, guarda come funziona…»). Addirittura, nel tempo libero, fanno un giro sugli aerei piccoli; io già lo faccio per lavoro e non mi interessa assolutamente passare altro tempo in questo modo. Nelle soste vivi avventure uniche che rimangono per sempre dentro di te.

Quanto è diversa la tua vita rispetto a quella di chi vive un’esistenza più stabile, anche dal punto di vista fisico?

La bellezza del mio lavoro è che ti permette di lavorare con persone che hanno una visione della vita particolare rispetto a chi ha una vita urbana. Personalmente faccio fatica a venire a patti con la realtà di chi non vive questa esistenza molto dilatata: per me è normale svegliarmi alla mattina, prendere un aereo per andare a Roma (dove inizio a lavorare), prendere un altro aereo che magari mi porta a Los Angeles, atterrare alle 6 del mattino del giorno dopo. È tutto sballato. La mia vita è dove mi trovo; faccio fatica a dire: “la mia vita è a casa”. Certo, mi piace la mia casa e più passa il tempo e più mi manca, ma se mi trovo a Santa Monica e sto facendo surf, la mia vita è lì. Tempo fa avevo una casa alle Maldive, una in Messico – che ho ancora – e una a Mombasa: era come tornare a casa in ciascuno di questi posti. Ci sono luoghi lungo l’oceano a cui sono particolarmente legato.

Quali sono i maggiori  svantaggi della vita da pilota?

A volte questo stile di vita rappresenta un ostacolo perché si tende a paragonare quello che si è vissuto in certe occasioni con il presente, che può essere piacevole, ma sembra più banale. Inoltre, vivendo continuamente situazioni adrenaliniche, si può diventare dipendente da circostanze estreme: puoi valutare bella e importante un’esperienza a seconda di quanto ti fa sentire. Questo non è sempre vero né giusto, è una sorta di assuefazione a una droga che ci si trova ad assumere da decenni. Ciò indebolisce e allontana anche volontariamente dalla realtà quotidiana, che ti stufa. Mi sento fortunato ma mi sento anche scontento perché mi manca la sensazione forte. Però non sono tutti come me! Io sono più simile agli assistenti di volo, che sono più artisti, mentre i piloti di solito sono più “tecnici”.  Inoltre vi è una grande difficoltà a formare legami più o meno stabili. Il problema di molti piloti, soprattutto di charter, è che a casa hanno moglie e figli, ma loro sono dispersi nel mondo. Se non sei fatto di pietra ti preoccupi: oltre ai problemi di gestione del volo sei a distanza da casa e non puoi fare nulla; magari sei in sosta da qualche parte nel mondo e tua moglie ha partorito! Le persone devono avere un grande equilibrio per vivere con qualcuno che è quasi sempre via: chi sta a casa deve risolversi i problemi da solo. Inoltre quando fai il pilota di linea soffri la solitudine, soprattutto a causa dell’evoluzione (per me un’involuzione!) degli ultimi anni delle direttive su come si vola. Infatti, non si riesce molto ad approfondire il rapporto con qualcuno; per creare un’amicizia è necessario incontrarsi più stabilmente e parlare in modo serio e continuativo. Al di là degli aspetti positivi, in questo lavoro è presente anche tanta fatica: bisogna studiare tantissimo; l’aereo è una macchina complessa che si muove in un ambiente altrettanto complesso, costituito da tante regole che continuano a cambiare. In maniera periodica si hanno nuovi input, nuove procedure, nuove azioni e sistemi dell’aereo, oltre a tantissimi check, a quattro simulatori all’anno in cui succede di tutto. Nei training devi imparare ad affrontare qualsiasi tipo di emergenza, è come esser dentro in un aereo vero; per esempio a Londra, pochi giorni fa, ho partecipato ad una simulazione di un volo e (tra le varie cose!), ecco un fuoco a bordo che non si spegneva, con un fumo pazzesco… e io dovevo fare qualcosa velocemente prima che la situazione diventasse “unlivable”. Come pilota devi quindi continuamente essere informato; tante volte, invece di uscire, devi studiare. C’è del sacrificio da fare. Inoltre quando torni a casa sei molto stanco: è un lavoro molto duro quello del pilota d’aereo anche dal punto di vista fisico perché si dorme poco e male. Dopo tanti anni di volo si hanno fusi orari che sballano completamente: arrivi in un posto e ti devi adattare subito, per esempio parti da Roma e quando arrivi a Los Angeles ci sono 9 ore di fuso orario, il che significa che fai la notte sveglio. Ovviamente hai dei turni di riposo, ma non sei un astronauta e quando ti viene sonno non puoi dormire! Anche stare sempre seduti non è il massimo.

Puoi raccontarci qualche aneddoto a bordo?

Gli aneddoti riguardano soprattutto i passeggeri. Spero che le loro stranezze siano dovute dalla tensione interiore e dalla paura di volare! Innanzitutto c’è la categoria dei passeggeri che possiamo catalogare in “lei non sa chi sono io”: succede spesso tra vip, e una volta anche con una nota pornostar, che con in tasca un biglietto economico si siedono e pretendono di restare in business, davanti. Ci sono poi i sedicenti politici che millantano posizioni sociali e chiedono il permesso di entrare in cabina di pilotaggio per fumare. Una volta è capitato che un bambino arrabbiato con i suoi genitori urinasse nella borsa di una mia collega… Sono poi rimasto colpito anche da un signore che mi ha chiesto: “Quand’è che si vede l’equatore?”, o da un altro che, lamentandosi, ha affermato: “Questo aereo non sta andando alla velocità a cui potrebbe andare”, come se potesse capire la velocità solo stando a bordo.

Hai qualche rimpianto?

No. Se faccio un bilancio penso che ho guadagnato tante cose, anche se ne ho perse altre, come la possibilità di vivere di più il posto in cui ho casa e di fare qualcosa per gli altri. Non mi è possibile avere degli hobby regolari, per esempio non ho mai potuto fare un corso di arti marziali perché le lezioni si ripetono due volte alla settimana e questo mi esclude automaticamente, oppure fare recitazione (ho fatto teatro fino al liceo). Questo stile di esistenza un po’ disordinata è però parte del mio DNA dal tempo dell’università: non credo riuscirei a vivere diversamente, senza viaggiare. Ho una casa in Messico, un posto che mi aspetta, anche se è parecchio che non vado. È là che mi chiama ed è una promessa per il futuro.

 

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Luca Vanossi, laureato in Ingegneria Nucleare presso il Politecnico di Milano, da vent’anni pilota di linea per
diverse compagnie aeree in Italia e all’estero. Attualmente basato a Roma e pilota per Norwegian Airlines; vive tra Italia, Francia e Messico.

Per partecipare al corso sulla paura di volare tenuto dal dott. Luca Vanossi e dal dott. Giuseppe Rescaldina scrivere a psicologiadellascrittura@gmail.com o visitare il sito www.psicografologia.wordpress.com

 

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