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Magenta: Scienza e Fede, intervista a Giuseppe Cerati- di Andrea Ballocchi

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MAGENTA – Spesso si tende a pensare il percorso scientifico e quello della Fede dissimili se non, addirittura, antitetici. ci si dimentica però che uno dei sette doni dello Spirito Santo è, appunto, quello della scienza. Inoltre «scienza e fede sono due metodi di conoscenza che a mio modo di vedere non sono poi cosi dissimili».

Ad affermarlo è Giuseppe Cerati, fisico e ricercatore nato e vissuto a Magenta. A lui, in un’intervista oltreoceano resa possibile da uno degli strumenti social più apprezzati, Whatsapp, chiediamo:
Scienza e Fede sono conciliabili?
Personalmente ritengo di sì. Scienza e fede sono due metodi di conoscenza che a mio modo di vedere non sono poi cosi dissimili. Capisco che questa possa sembrare un’affermazione sorprendente, ma entrambe richiedono una ‘verifica sul campo’ per giungere ad una certezza. Non bastano un dogma o una predizione teorica perché si possa essere convinti di una verità.

Ciò che è diverso tra scienza e fede è in cosa consiste questo ‘campo’ di applicazione: fenomenologico in un caso, esistenziale nell’altro. In altre parole, la verifica in ambito scientifico richiede di osservare e riprodurre fenomeni, mentre per la fede la ‘verifica’ è lo svilupparsi di un rapporto. Infatti, come scrive Papa Benedetto XVI nell’enciclica Deus Caritas Est, ”all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avveni- mento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”; dunque per la fede la verifica sul campo è più simile al verificare un’amicizia o un rapporto amoroso, e occorre chiedersi se davvero la vita grazie a questo rapporto prende un nuovo orizzonte: ha più speranza, più capacità di amare e di perdonare?

Come s’intuisce, sia per la scienza che per la fede, questa “verifica” è un lavoro lungo tutta la vita, che ci riporta “sul campo” ogni giorno.

 
«La scienza che viene dallo Spirito Santo non si limita alla conoscenza umana: è un dono speciale, che ci porta a cogliere, attraverso il creato, la grandezza e l’amore di Dio e la sua relazione profonda con ogni creatura». Da scienziato reputa condivisibile questa af- fermazione di Papa Francesco?
Che la scienza sia un dono lo si nota da diversi aspetti. Innanzitutto occorre una predisposizione, un talento: sia il dono di essere interessati alla natura, ma anche il dono di intuire la logica che ne regola le leggi. Poi è un dono il mettersi a fare ricerca, o più genericamente in ricerca: occorre la speranza di trovare una risposta alle proprie domande, senza fermarsi di fronte alla fatica o all’aridità dei momenti difficili. La scienza, inoltre, è fatta di ‘misure’ o ‘osservazioni’, di ‘dati’. I dati, come dice la parola stessa, sono un dono: la natura non è fatta dallo scienziato, e sia che corrisponda alle previsioni sia che proponga risposte sorprendenti, rimane un dato oggettivo con cui fare i conti. Spesso gli scienziati caricano di aspettative una nuova idea o un nuovo esperimento, sperando che questi li portino a nuove scoperte; tuttavia questa aspettativa è sottoposta alla verifica dei dati e questo è sempre un bene perché mantiene attaccati al reale, al vero. Infine la scoperta è un dono: lo spalancarsi dell’orizzonte su una realtà nuova. E questa realtà, se da un lato ‘spiega’ un fenomeno, dall’altro è misteriosa perché spesso solo alcuni suoi nessi con il resto della natura sono noti. Una scoperta risponde a una domanda, ma ne genera molte di più. Queste scoperte curiosamente portano sempre con sé un fascino, una parvenza di bellezza, di ordine, come guardare il cielo stellato, un tramonto sul mare, o una montagna. E l’uomo riscopre di desiderare questa bellezza, come una meta magari lontana ma attesa per sé e così ci si rimette in cammino, a ricercare scientificamente ed esistenzialmente. In questo credo di intuire cosa intende Papa Francesco (non mi permetto di pensare di aver ca- pito!): la scienza e il creato sono dono al di là della conoscenza umana perché possono (ri)metterci in cammino per sco- prire l’origine della bellezza desiderata.


Da studioso attivo nella scoperta del Bosone di Higgs, quale interpretazione può dare nella definizione un po’ sintetica e altisonante di “particella di Dio”?
L’origine del termine “particella di Dio” è noto, e deriva da un libro che il premio Nobel Leon Lederman aveva intitolato “la particella maledetta” (goddam particle), riferendosi allo difficoltà della sua scoperta (sono passati quasi 50 anni da quando è stata predetta a quando è stata finalmente scoperta); il suo editore ha però preferito cambiare il titolo in “la particella di Dio” (God particle). Indubbiamente, vista la risonanza che questo termine ha avuto nei media, è stata una trovata editoriale a dir poco geniale. Il ruolo del bosone di Higgs tuttavia non ha nulla a che vedere con una possibile dimostrazione (o smentita) scientifica dell’esistenza di Dio.

Per quanto mi riguarda, invece, avendo partecipato alla scoperta dal bosone di Higgs, posso dire che la meraviglia e il fascino di cui ho parlato nella risposta precedente sono stati evidenti in me e in molti miei colleghi (credenti e non credenti) al momento della scoperta.

Andrea Ballocchi

 

Chi è Giuseppe Cerati

Fisico e ricercatore, Giuseppe Cerati è attualmente impegnato a Chicago presso il Fermilab,
il principale laboratorio per la fisica delle particelle negli Stati Uniti. Ha fatto parte del team al CERN di Ginevra che ha scoperto il Bosone di Higgs, denominata “la particella di Dio”.
Questo suo impegno nella ricerca scientifica gli ha consentito di contribuire significativamente a questa grande scoperta, che gli
 è valso tra l’altro il conferimento del San Martino d’Oro nel 2013 (sopra in foto la cerimonia)

 

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