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Magenta, l’omelia di don Giuseppe Marinoni in ricordo di Aurelio Livraghi

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MAGENTA – Nel pomeriggio di ieri la comunità cristiana e quella civile di Magenta si sono congedate da Aurelio Livraghi, protagonista da anni del mondo del volontariato, della Caritas, di Non di Solo Pane e di altre intraprese.

Riportiamo l’omelia che don Giuseppe Marinoni ha pronunciato durante la Santa Messa e il rito funebre.

“Domenica scorsa si annunciava la vicinanza di Dio alla nostra vita. Era l’ultimo giorno della vita di Aurelio, e lo stesso condetto è stato ribadito dal Papa: farsi vicino alle persone per aiutare chi soffre, contro la cultura dell’indifferenza. La Fede è il dono che dobbiamo chiedere ogni giorno, e credo che la vicinanza ci possa aiutare nel saluto al caro Aurelio. In Cristo siete vicini grazie al suo sangue. Penso alla sua sofferenza di questi mesi, alla morte. Aurelio stesso mi aveva indicato i passi del Vangelo che abbiamo letto oggi. Per Aurelio questa vicinanza di Dio era diventata missione, assieme al mistero del sacrificio della Croce. A questo Cristo il nostro Aurelio ha risposto e si è avvicinato a Dio, come lettore della parola, o andando al monastero e alla comunità di Bose. E poi qui nel mistero eucaristico. È stato vicino a Gesù sino alla fine, da credente che si interroga. E lui pensava al Padre. Penso alla vicinanza sponsale con sua moglie, con l’affetto reciproco, divenuto nel tempo cura affettuosa, soprattutto nel momento della debolezza e della malattia. Attorno a lui ha sempre avuto molte persone. Una comunità che lui ha servito in tanti modi, nella Caritas, incontrando in don Giuseppe locatelli il suo maestro spirituale. La comunità cristiana può vivere così, mettendo in pratica la regola del fare agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi. Aurelio era vicino anche alla comunità civile, agli amministratori, ai servizi sociali. E lui portava incessantemente, in questi luoghi, i  bisogni e i diritti dei poveri. E questo stimolo ha avuto un riconoscimento nel San Martino d’oro assegnato a lui e alla Caritas nel 2016. Ha scelto di vivere un impegno diretto per i più deboli, coordinando il lavoro della Caritas, aiutando i migranti. Cinque anni fa fu tra i promotori di Non di Solo Pane, che si deve alla sua tenacia, che magenta deve a lui. Un servizio fatto con eleganza, precisione, metodo. Amava citare una frase del cardinale Martini, e non voleva piatti di carta per i poveri. Si era convinto che non può esserci separazione tra i poveri e il popolo di Dio. E allora prendiamo questo impegno che Aurelio ci insegna. Uomo dalla carità di Cristo, uomo della carità. Ma adesso rimane una domanda che incombe: la morte e la malattia pongono fine a tutto questo? Perché se si, tutto è vano e inutile. Ma la morte non pone fine, perché Cristo risorto è vivo e ancora più vicino, una vicinanza piena e profonda. Aurelio non è soltanto morto, vive in Cristo. Ha resistito e lottato contro la malattia, nella certezza che adesso quei poveri lo hanno accolto, e ora quel padre che a lungo ha cercato gli si è fatto incontro. Bene, servo buono e fedele, entra nella gioia del Cielo. E in questa certezza troveremo il senso della nostra vicinanza”.

 

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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