― pubblicità ―

Dall'archivio:

Magenta, in morte di un grande uomo di bancone: Peppino Piscopo- di Emanuele Torreggiani

+ Segui Ticino Notizie

Ricevi le notizie prima di tutti e rimani aggiornato su quello che offre il territorio in cui vivi.

Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

Ticino Notizie rivolge sentite condoglianze all’amico Stefano per la morte del suo grande papà, Giuseppe detto Peppino, personaggio celeberrimo di Magenta. Qui descritto dall’impagabile mano di Emanuele Torreggiani. I funerali si terranno nella basilica di san Martino, martedì 9 agosto, alle ore 15.

 

L’ultima volta che ti ho incontrato, ero a Magenta. Piazza Liberazione già Umberto I. Eri lì con la tua badante, una signora, e vedendomi mi hai stretto la mano. Aveva il calore di quella di mio padre. Mi hai conosciuto giovanissimo. Pepp, come stai.
Mi hai tenuto la mano e ci siamo seduti su di una panchina. E abbiamo parlato nella nostra lingua. Quella delle madri. Peppino, tuo papà aveva fatto la Marcia su Roma. Grandissimo. Gli strinsi la mano. Lo vedo ancora. Gli diedi del Voi, come dicevo a mio nonno. Abito scuro, camicia bianca, cravatta nera saluto alla romana. Grandissimo.
Forse ho vissuto più notti nel tuo locale che a casa mia.
Senza forse. Non andavate via mai.
L’ultima volta mi hai trattenuto la mia mano nella tua, come non ha mai fatto mio papà anche se avrebbe molto voluto, lo so ora, mi hai domandato due volte: tu come stai, dottore.
Va.
Peppino Piscopo, Stefano e il nipote Filippo
Hai avuto una vita pesante, ma tu ce la fai. Te sei sempre stato uno matto, ma di quelli giusti.
E mi tenevi la mano. Grande Pepp. Piazza Liberazione, panchina di legno semimarcio dirimpetto la farmacia Cattaneo.
La Carla, ci pensi mai?
Io sono andato insieme solo con lei.
Ch’è la più bella dichiarazione d’amore mai sentita.
E come stai?
Siamo arrivati alla fine della pista.
Perché lo dici?
Perché lo so… alla mia età le cose si sanno.

Ma adesso, ora, voglio scrivere senza filtri. Ma non sarà possibile. Non lo è mai. La scrittura non scrive per sé stessa. Grande Pepp. Bar Piscopo. Fine anni Settanta, tutti gli Ottanta. Il tuo era il bar dell’ospedale. Venivano i medici in camice bianco a prendere il caffè. Noi, le bestie nere, si veniva dal bar Kappa. Che aveva chiuso per sempre. Noi si veniva da lì. Eravamo quella gente lì. Hai tentato di arginarci, poi hai lasciato fare. Questi qui sono tutti suonati. Lo dicevi in vernacolo, suonati. E ci hai lasciato fare. La notte, tiravi giù la saracinesca ma non ritiravi più i tavolini di vimini da sotto il porticato. L’alba, venivi giù dall’appartamento per mettere in forno le brioches, e noi s’era lì.
Ancora?
Sì, siamo qui ancora.
Ogni tanto davi di testa.
Basta, non ne possiamo più. Non si può sopportare questo casino. Carte: al Due, alla Scopa d’assi, al Mariannone, allo Spizzico, al Non Prendere. Dadi: Back gammon. Dama. Scacchi. Ma poi. Poi te la facevi andare. La signora Carla mediava. Il tuo bar la nostra casa. Abbiamo bivaccato lì da te un decennio prima di passare al Blue Harmony quando hai venduto. La gente entrava e usciva ma i nostri tavoli li tenevi sempre occupati. Ci siamo diplomati, laureati lì più o meno tutti. E di questo tu eri silenziosamente fiero. Un giorno me l’hai detto col tuo schietto: voi altri siete suonati ma non scemi. Potrei scrivere tanti nomi. Ma no, ma che importa. Scrivo quattro nomi di ragazze bellissime che quando entravano sgranavano ogni sguardo mozzando il respiro. Bellissime. Grazia Golosi, Anna Monno, Nadia Nisoli, Ester Possenti. Solo la bellezza rimane, è un fatto. Poi la vita ci ha portati tutti lontano. Qualcuno è andato via, qualcun’altro è andato via per sempre. È così. È la nostra vita.
Ora, di tutti, fra tutti, ora ho il nitido rammemoro di una notte di gennaio. Di quel gennaio gelido e greve della malinconia post natalizia. Entrò Mirko Marinoni accompagnato dalla Susi Galeazzi. Ordinò due Glenlivet doppi. Erano due straordinarie solitudini che accompagnandosi ci indirizzavano alla vita. Tu Peppino hai versato l’anestetico, la Susi ha preso i bicchieri dal banco e portati al tavolo. Al primo sorso accesero una sigaretta. Ecco, questa scena mi è tornata al cuore mentre sto scrivendo queste righe. In quell’istante noi tutti, tu compreso dietro il bancone, si era in un dipinto. Eravamo fasciati da un perfetto silenzio. Dipinti dentro una tela. Immortali lì dentro. Caro Peppino Piscopo, ora che sei morto e conosci la verità, accogli il mio affettuoso saluto e la mia gratitudine. Mi permetto di scrivere la ‘nostra’ gratitudine. Sei stato un grande barista magentino.
P.S.
Chiedo scusa per le citazioni dirette. Chiedo scusa. Non ho potuto farne a meno.
Emanuele Torreggiani

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

■ Prima Pagina di Oggi