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Dall'archivio:

Ma com’erano belle le correnti (dei partiti): CONTRO la deriva social, PER una politica dove ci si incontra. Il caso Mantovani e la compattezza (umana)- di F.P.

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EST TICINO  “Ricordava Platone che chi non sa fare un paio di scarpe non si metterà mai a fare il calzolaio, così come  chi non sa di medicina non curerà mai gli ammalati. Tutti, però, si ritengono all’altezza di guidare lo Stato e il paese. Nessuna scuola, professionale o classica che sia, potrà mai dare quel profilo culturale e di sensibilità che la politica richiede. È nella vita delle associazioni ma innanzitutto in quella dei partiti che si apprendono e dialetticamente si accettano strategie e programmi”.
Il mai sufficientemente lodato Paolo Cirino Pomicino ha vergato queste parole ormai quindici anni fa, ma come tutti i pensieri di alto profilo e lungimiranza sembra scritta oggi. Anzi, dopo quasi due anni di pandemia e di ‘riduzionismo’ social della politica è ancora più importante.

Ci sovveniva sabato, alle 18.30, quando abbiamo visto coi nostri occhi cosa significa la forza e la compattezza umana (prima che politica) di quelle che i cantori dell’honestà grillina deprecavano (salvo poi, in sostanza, riproporle loro stessi..): le CORRENTI. Nel caso di specie, più che una corrente abbiamo visto plasticamente riproposta la categoria degli amici, ossia gli amici di Mario Mantovani, che anche dopo anni dalla vicenda giudiziaria e dall’uscita formale dalle istituzioni (marzo 2018) vanta ancora una rete solidissima di contatti e di persone che si riconoscono nella sua leadership. Amici tanto che sabato era presente persino Enzo Tenti, coordinatore del Magentino di Forza Italia, quindi NON aderente a Fdi, ma legato a Mantovani per lungo tempo nel recente passato.

In una fase di crisi delle ideologie e di disaffezione politica, i partiti non hanno certo allentato la presa sulle istituzioni delle Stato e le loro risorse. Tuttavia scoprono una
nuova debolezza organizzativa, dal momento che i rappresentanti si sentono
sempre più svincolati dal destino del partito, spesso alla ricerca di soluzioni
di tipo individuale, che sfociano spesso in defezioni esplicite.

Esattamente: le CORRENTI, ossia le fazioni interne ai partiti, hanno sempre preservato i movimenti dal leaderismo, dal cesarismo senza Cesare (il caso emblematico, come diciamo spesso, è quello di Marco Ballarini a Corbetta: sindaco ormai senza partiti, sono rimaste un grumo di liste civiche e persone che avulse da gruppi con regole precise e selezione della classe dirigente si riferiscono, de facto, unicamente al grande capo).

Sono le correnti a consetire circolazione e selezione delle classi dirigenti, sono le correnti (se illuminate e non autoreferenziali) a lanciare nell’agone politico candidature coraggiose e giovani (come quella di Guglielmo Villani, sindaco del Comune più piccolo di tutto l’Abbiatense).

Mai come oggi, a distanza di anni dall’irruzione della politica liquida, dall’esplosione social, dalla politica pandemica, si sente il bisogno di una politica capace di guardarsi (e guardare) in faccia, di una politica capace di unire, aggregare, discutere. Di una politica NON autoferenziale, ma che sia dialogante, dialettica, frutto del dibattito.

Sono tutte cose (quasi) del tutto morte e sepolte. Non 100, ma solo 20 anni fa le vituperate correnti (nei partiti più solidi: Forza Italia, Pd, Alleanza Nazionale, Lega, la sinistra radicale) riuscivano a catalizzare centinaia di persone ed amministratori.

Non è rimasto quasi nulla. La Lega è forse rimasto l’unico partito centralista, se vogliamo persino liderista e diffuso, che fa ancora scuola di partito, vanta un movimento giovanilem, ha un’ossatura e una gerarchia molto solide.

Piaccia o no, si tratta di un modello codificato (e da anni, Giovanni Sartori ci rifletteva almeno dal 1976) e capace di rappresentare le idealità ed esercitare l’arte del governo della cosa pubblica. L’alternativa è una politica autoreferenziale e dove gli spazi di dibattito e democrazia lasciano come detto spazio al cesarismo.

E allora rileggiamolo (ancora) Paolo Cirino Pomicino. Finché non spariranno del tutto i Cinque Stelle, sono parole sagge.

“È negli enti locali che si matura la prima esperienza, ci si confronta con il potere amministrativo e con la capacità di applicare le proprie idee nella realtà quotidiana. E infine è nell’attività legislativa parlamentare che si assume una visione d’insieme dei bisogni e delle risposte che essi sollecitano, allenandosi a mantenere sempre viva l’attenzione sugli effetti che una norma legislativa produrrà sul corpo vivo della società e dei suoi legittimi interessi.

Associazioni, partiti, enti locali, parlamento: solo con questo percorso un gruppo dirigente potrà essere pronto ad assumere un ruolo di governo. Non basta “sapere”. Non basta “conoscere”. La politica è qualcosa di diverso dalle singole professionalità. Anzi, più volte ho insistito che per essere un buon ministro non bisognava essere tecnici di quel settore. Tanto per intenderci, un medico non dovrebbe fare il ministro della Sanità così come un avvocato o un magistrato non dovrebbero diventare ministri della Giustizia. Né si può lasciare la politica economica agli economisti. I cosiddetti tecnici possono essere buoni consulenti o autorevoli burocrati, ma difficilmente buoni ministri perché introducono nell’azione di governo quelle rigidità accademiche e professionali che sono l’esatto contrario della flessibilità chiesta dalla politica. Dirò di più: per fare politica non basta avere buone idee, perché intorno ad essa va costruito il consenso. Senza il consenso le idee diventano puro esercizio intellettuale.

Elemento necessario per esercitare l’arte della politica è poi il coraggio. Nei momenti delle scelte si è quasi sempre soli. E spesso le scelte migliori per il paese sono le più impopolari. C’è una regola di fondo nelle grandi democrazie che sembra smarrita da quindici anni a questa parte: la società deve essere guidata lasciando ad essa, poi, il naturale ruolo di giudice dell’operato delle classi dirigenti nelle elezioni successive. Il contrario di ciò che abbiamo visto fare negli ultimi tempi, quando la bussola dei governi è stata l’umore del popolo e i continui sondaggi su tutto e su tutti si sono trasformati nel viatico virtuale per decidere se continuare o fermarsi nell’azione di governo”.

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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