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M come Malinconia, l’alfabeto dell’Anima. A cura di Floriana Irtelli e Fabio Gabrielli

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Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

Secondo alcuni Autori nostalgia e malinconia sono due sentimenti costitutivi dell’umano, con
traiettorie esistenziali diverse. L’oggetto della nostalgia è determinato, nello specifico la patria lontana che provoca in noi struggimento per una perdita che desideriamo colmare. Di contro, la malinconia riguarda l’indeterminato, il vago, l’indefinito, una mancanza dai contorni sfumati, che non sappiamo mettere a fuoco, una insopprimibile richiesta di bellezza che sappiamo essere, come tutte le cose mortali, finita, destinata a eclissarsi.

Ce lo ricorda Sigmund Freud nel suo breve “Caducità”, quando in compagnia del poeta Rainer Maria Rilke e del giovane Lou Andreas-Salomé, durante una passeggiata, di fronte a un paesaggio estivo in piena fioritura, si accorge della tristezza dei suoi compagni a causa di quella bellezza caduca, impossibile da custodire nella sua luminosa durata.
Il malinconico abita la mancanza con una sensibilità più profonda, più raffinata rispetto gli altri, è annoiato da questo mondo, oppure disilluso rispetto alla sua promessa di bellezza e valore, dunque si crea un altrove, immaginativo, poetico, artistico, in cui provare a colmare quella mancanza cui non sa dare né voce, né nome, né volto.
Il malinconico vive in disparte, si congeda dal mondo, si alimenta di fantasticherie, si nutre di una forza immaginativa che, se non implode nella rassegnazione, quindi nella paralisi esistenziale, diventa sovrabbondante di beni, soprattutto di generosità, di creatività.
La malinconia è generosa quando si fa creatrice di valori, produce bellezza, restituendocela, come
fanno i poeti, come dono comunitario.
In questo senso, alla malinconia ha dedicato versi superbi Hermann Hesse:
Fuggendo da te mi sono dato ad amici e vino,
perché dei tuoi occhi oscuri avevo paura,
e nelle braccia dell’amore ed ascoltando il liuto
ti dimenticai, io tuo figlio infedele.
Tu però in silenzio mi seguivi,
ed eri nel vino che disperato bevevo,
ed eri nel calore delle mie notti d’amore,
ed eri anche nello scherno, che t’esprimevo.
Ora mi rinfreschi le mie membra sfinite
ed accolto hai nel tuo grembo il mio capo,
ora che dai miei viaggi son tornato:
tutto il mio vagare dunque
era un cammino verso di te.

Floriana Irtelli

 

Hesse suggerisce come la malinconia sia specifica dell’umano, come questa inquietudine per una pienezza mai colmabile, per una bellezza mai completa e completabile sia inaggirabile per quanto cerchiamo di eluderla, e come, negli spiriti più raffinati, possa generare quella creatività immaginativa che ha illuminato e continua a illuminare la cultura di ogni tempo.
E ancora, Paul Verlaine, proprio a indicare l’estrema vaghezza del sentimento malinconico, questa esperienza di una mancanza, di una distanza che non sappiamo nominare, scrive:
Questo pianger da dove mi viene?
Inganno? E quale? Nessuno.
Eppure nel cuore che geme
da dove, da dove mi viene? E come duole un dolore
senza radice alcuna.
Odio non c’è, non c’è amore:
e tanta è la pena del cuore.
Sono versi talmente incandescenti, assoluti, definitivi, che ci restituiscono, con l’immediatezza propria dei poeti, tutta la cifra esperienziale della malinconia.

Prossima Lettera N come Narcisismo

Piccola biblioteca dell’anima
R. Guardini, Ritratto della malinconia, Morcelliana Brescia 1990.
Un piccolo libro che si impone come un autentico gioiello per la capacità, partendo dal “Diario” di Kierkegaard, di descrivere la malinconia come tensione all’infinito, come perenne inquietudine del cuore umano.

Fabio Gabrielli

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