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Dall'archivio:

‘Lupi nel Parco Ticino? Una sventura’. Il duro j’accuse del prof. Michele Corti

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Abbiamo ricevuto un documento interessante dal professor Michele Corti, docente universitario, e in passato consigliere e assessore regionale della Lombardia per la Lega Nord. Il prof. Corti, in sostanza, critica duramente il Parco Ticino per l’entusiasmo dimostrato a seguito del ritrovamento di uno (o più) lupi tra Magenta e Boffalora. Di seguito il suo curriculum ed il testo.

 

Autonomismo (1981-1989) Adesione alla Lega Lombarda (1987), Consigliere comunale a S.Donato Milanese (1989)

In Regione (1990-1992) Consigliere Regionale Lombardia (1990)

Tangentopoli agricola (1992-1993) fondazione Associazione Lombarda Agricoltori

Una battaglia troppo in anticipo sui tempi (1994)

I limiti del “potere” (1994-1995) Assessore regionale all’Agricoltura (1994-95). Uscita dalla Lega Nord (1995)

Post-leghismo (1995-2001) Partecipazione fondazione Libera Compagna Padana (1995). Uscita LCP e fondazione Associazione Culturale Padano-alpina (1996)

 

Nell’esultare per la presenza del lupo nella valle del Ticino (documentata a sue spese da un pastore con fototrappola) il direttore del Parco lombardo, Claudio Peja, ha dichiarato al Corriere: “Dal Medioevo non c’è più stato un lupo in pianura . Per noi è una grande notizia”. Ma meno di 200 anni fa i lupi erano ancora numerosi nella valle del Ticino e rappresentavano un pericolo. Altro che mediovo e “secoli di assenza”. Il lupo ha evidentemente dato alla testa. È dei giorni scorsi la notizia dell’accertata presenza di un lupo nella valle del Ticino. La “scoperta” è merito di un pastore. Non è un caso perché i parchi tacciono sempre quando arriva il lupo. Il caso più famoso è quello del Marcantour in Francia nel 1991. Le autorità del Parco ruscirono per sei mesi a tenere segreta la notizia. Succede così ovunque  perché nel decalogo della lobby del lupo sta scritto: “Fare di tutto per ridimensionare la presenza del lupo e negare sempre anche contro l’evidenza che possa essere pericoloso per l’uomo, tenete sempre segrete le notizie circa le nuove presenze”. La tattica si spiega con l’esigenza di anestetizzare i portatori di interesse che hanno tutto da temere dalla presenza del lupo. Essi devono sapere le cose quando ormai la presenza è consolidata.

Di fronte a un pastore che a sue spese (l’onere della prova della presenza del lupo è sempre a carico delle vittime) documenta la presenza con una fototrappola il Parco, che al 100% sapeva della presenza, ha elevato al cielo inni di gioia, peana di giubilo. Il lupologo Meriggi, che quantomeno non è un lupologo dell’ultima, ha avanzato l’ipotesi che i lupi possano essere due: un maschio e una femmina. Verosimile che si formi un branco. Di qui il giubilo del direttore e del presidente del Parco, Gian Pietrio Beltrami che si intesta il “risultato”, ovvero il “frutto del lavoro di oltre 40 anni del Parco”.

La presenza del lupo nella pianura lombarda è documentata sino ai primi decenni dell’Ottocento. Solo negli anni ’30 di quel secolo il pericolo (non solo per gli animali domestici ma anche per l’uomo) cessò.
La scomparsa del lupo nella pianura lombarda fu dovuta a diversi fattori: l’intensificarsi delle cacce organizzate, indette anche nel primo periodo Lombardo-Veneto, ma ancor più dall’erogazione di  premi in denaro agli uccisori di lupi e lupicini, alla disponibilità di armi da fuoco più efficienti ma, soprattutto, alla scompara dei gradi boschi planiziali. Lo stato moderno (napoleonico prima, Lombardo-Veneto poi) nel mentre si faceva sempre siù esigente in termini di fisco e di regole da rispettare da parte dei sudditi, doveva in qualche modo bilanciare la crescente invadenza nella società alleviando elementi di insicurezza, disagio, paura, dimostrando la sua capacità di imporre l’ordine e le leggi e cercando anche di legittimarsi . Brigantaggio, vagabondaggio, epidemie, carestie dovevano essere considerati retaggi del passato che lo stato moderno aveva sconfitto. L’ultima vera carestia in Europa fu quella del 1816 mentre il brigantaggio (nel Lombardo-Veneto) venne eliminato dopo qualche anno. I lupi vennero eliminati in pianura verso il 1830 ma solo prima della grande guerra in montagna. Per le epidemie si dovette aspettare (la “spagnola” colpì duro anche da noi ancora nel 1918).


La scomparsa del lupo in montagna dopo 80 anni rispetto alla pianura, non “secoli dopo”, come immagina un’opinione disinformata e condizionata da una decennale campagna della lobby del lupo. Essa da decenni è impegnata in una non disenteressata campagna (fruttata loro decine di milioni di euro da gestire solo di fondi LIFE europei)  tendente a far credere che: il lupo non è pericoloso per l’uomo, che il confitto tra uomo e lupo è un ricordo del passato legato a epoche e aree remote. Quante volte sentiamo dire e leggiamo dai propagandisti della lobby del lupo “sono secoli che non viene ucciso un umano in Italia” (1)
Gli ambientalisti lupofili hanno da decenni applicato religiosamente il consiglio del capo della propaganda nazional-socialista, Goebbels, che diceva: “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”. 
 In realtà gli storici hanno smascherato da tempo (anche in Italia) le manipolazioni degli esperti “scientifici”, di matrice naturalistica, che – per sostenere le loro tesi ideologiche aprioristiche e per palesi interessi personali e di lobby – hanno finto di ignorare quanto scrivevano i naturalisti (più onesti) dei secoli scorsi. Ovvero che i lupi erano un grave pericolo, un incubo che giustificava credente e favole frutto della saggezza popolare (ora censurate e rescritte in nime del politically correct, del pensiero unico buonista-ecoanimalista). 

Prof. Michele Corti

Michele Corti è nato a Milano il 02.02.1956 da famiglia milanese con secolari radici nel mondo degli allevatori/casari (di antica origine Orobica) e degli agricoltori (fittavoli).

E’ docente a tempo definito presso l’Università degli Studi di Milano dove insegna Zootecnia di montagna. Di matrice accademica zootecnica ha sviluppato in anni recenti un profilo scientifico-professionale ruralista e si interessa di sistemi zootecnici alpini nella complessità dei loro aspetti tecnico-scientifici e socio-culturali.

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