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L’ultimo tango di Bercy: Gilles Simon come Marlon Brando- di Teo Parini

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Quella di ieri pomeriggio a Bercy avrebbe potuto essere l’ultima apparizione di una lunga carriera. Intanto perché, ormai da tempo, sappiamo che l’indoor parigino è il torneo scelto per dire basta. Poi, perché Taylor Fritz, il suo avversario, di questi tempi non è quella che si dice una scampagnata di salute.
Invece Gilles Simon, noncurante delle troppe primavere sulle spalle e degli acciacchi conseguenti, l’ha mandato ai matti, oltre che alle docce. Ancora una volta il fosforo ha surclassato il bazooka e Gilou si è così regalato almeno un’altra partita nella cornice amica, altro che ultimo tango a Parigi. Dopo Murray all’esordio, in uno scontro strappalacrime per ciò che è stato ma soprattutto per ciò che non sarà, lo scalpo dello statunitense, che è numero otto del mondo, spedisce Simon agli ottavi di finale del tradizionale Master 1000 di fine anno, dove ad attenderlo c’è il giocatore più forte del momento, Felix Auger Aliassime, l’ex perdente di lusso reduce da tre titoli e un filotto di vittorie lungo una ventina di match. Probabilmente troppo anche per un tennista avvezzo alla non accettazione del limite; caratteristica essenziale di tutte le esperienze che – al pari di quella di Simon – ambiscono alla perfezione. Ma trattandosi proprio del transalpino con la faccia da impiegato alle Poste e i modi sempre garbati non ci si stupirebbe del contrario e, in ogni caso, vale la pena mettersi comodi.

Gilles Simon, ammesso non lo sia già, dovrebbe essere materia di studio di ogni percorso formativo tennistico degno di tale nome. Lui che sta alla disciplina che fu Pallacorda come Einstein sta alla fisica: un genio. Questo perché, se gli Dei del gioco non l’hanno insignito della fantasia quale distintiva cifra stilistica, in compenso l’hanno dotato della forma di intelligenza applicata al tennis che, per abissale distacco, è la migliore che si sia potuta apprezzare da quando le racchette hanno smesso di essere ricavate dai tronchi. Simon è l’ossimoro per il quale una noia mortale possa elevarsi allo stadio di dipendenza fisica. Dietro all’apparenza di un tennis incapace di concessioni all’estetica, infatti, si nasconde un mondo policromo capace di esaltare una forma purissima di talento che, nell’epoca di Federer quale egemone unità di misura di tutto ciò che è tennis, non è replicabile: la strategia. In altri termini, Simon è la risposta vivente alla necessità sportiva di azzeccare sempre la scelta giusta. Talento, appunto, nella tommasiana definizione di capacità di fare con semplicità cose che gli altri non fanno. Così, mentre tanti colleghi anche più dominanti hanno costellato la propria carriera di obbrobri decisionali che sono spesso anticamera della sconfitta, Gilou, al contrario, può vantarsi di non aver mai fatto sul campo una scelta fuori luogo. Conferma plastica di come il cervello umano sia un capolavoro inavvicinabile financo per i computer. Al pari dei quali, Simon, tra mille opzioni balistiche da scandagliare in una frazione di secondo, ha sempre intrapreso la via più sagace possibile.
Poco servizio, poca potenza, la difficoltà di spingere la palla e, quindi, di avere punti facili per le mani, sono deficit che nel tennis moderno del corri-e-tira, in linea prettamente teorica, dovrebbero precludere una carriera da vertice. Condizionale, appunto, perché il tennis più che una sfilata di moda è sangue e merda, situazione disagevole semmai ce ne fosse una dalla quale è possibile emergere anche senza fuochi d’artificio. Intelligenza, intanto, ma anche senso euclideo, che si traduce nella padronanza universitaria di angoli e traiettorie. La comfort zone di Gilou, capace di sublimare la strategia del contrattacco come forse non si era mai visto prima. Un ladro di Joule in grado di padroneggiare l’energia cinetica generata dall’avversario per farne un micidiale strumento di offesa. Così, per quasi un ventennio, l’idea di dover affrontare Simon, un muro pensante, ha turbato i sonni di tanti colleghi, consapevoli di essere chiamati al dominio nei colpi per provare ad avere la meglio di un avversario capace di individuare anche i punti deboli più nascosti e, pertanto, di mettere a nudo le relative debolezze. Un calvario. Perché, contro il nizzardo, storicamente la pagnotta la si è dovuta guadagnare per intero.
Quattordici titoli ATP, due finali nei 1000 di Madrid e Shanghai, i quarti di finale centrati a Wimbledon e agli Australian Open, la semifinale di quello che fu il Masters e un best ranking da numero sei, sono, in estrema sintesi, il bottino incamerato da Simon dal suo ingresso tra i Pro che risale al 2002. Niente male, in un’epoca, la peggiore possibile per emergere, egemonizzata dal triumvirato pigliatutto Federer-Nadal-Djokovic. Nell’attesa di sapere se questo pomeriggio passeranno in video i titoli di coda, è dovere di ogni amante del tennis ringraziare Gilou per quanto ha saputo insegnare di una materia terribilmente complessa e che, con un pizzico di presunzione, pensavamo non avesse più segreti.
Sbagliato. Nel tennis, come nella vita della quale è impeccabile paradigma, non si finisce mai di imparare, ragion per cui aver avuto a disposizione un Professore come Gilles Simon è stato un grande privilegio.
Inutile dirlo, ne sentiremo la mancanza.
Teo Parini

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