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Luke Hendrickson – “A Place To Call Our Own” (2021) by Trex Roads

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Oggi la “Trex Road” torna su di una strada già battuta e lo fa con piacere. Infatti il barbuto Luke Hendrickson ve lo avevo già segnalato qualche mese fa parlandovi del suo bellissimo esordio One Night At The Crystal Lounge (http://ticinonotizie.it/ascoltati-da-noi-per-voi-by-trex-roads-luke-hendrickson-one-night-at-the-crystal-lounge-2020/ ).
 

Lo avevamo lasciato con un disco già maturo e suonato alla grande, lo ritroviamo con il proseguo ideale di quella strada già tracciata. Un disco di soli 7 pezzi ma intensi, evocativi, malinconici e di un’intensità emotiva davvero notevole.
Luke ha nel suo bagaglio artistico numerose influenze diverse, ha amato l’heavy metal, il rock progressive (forse li ama ancora), non solo il folk e il country, quindi la sua musica lascia quella sensazione di originale, di personale che piace moltissimo.
Il disco è stato registrato in “casa”, nel suo Minnesota, nei Carpet Booth Studios di Rochester da Nick Hamilton, con una band davvero eccezionale (Charlie Burket al violino, Nate Warner alla batteria, Ryan Knudson al basso, John Nietz alla chitarra elettrica e Maggie Hendrickson e Samantha Gibson ai cori di supporto).
Questa sensazione di miscuglio di stili lo si avverte per esempio nel terzo pezzo, la splendida strumentale Open Seas. Mare in sottofondo, chitarra acustica ad allietare l’ascolto dello sciabordare delle onde ma è la chitarra elettrica a sferzare i nostri pensieri assieme ai tuoni di un temporale. Un pezzo breve ma che non è di ispirazione country, il rock e il metal usano spesso pezzi strumentali per enfatizzare e per afferrare i pensieri.
Il disco però inizia con un pezzo coraggioso, coraggioso perchè il testo è un pugno nello stomaco. Una storia autobiografica, tragica e intensa, che messa qui all’inizio ci fa subito entrare nel mondo di un grande poeta moderno. La sua voce e la sua chitarra ci raccontano la storia del suicidio di suo padre, 1987, in maniera lucida e matura, domande senza risposta che rimangono ad aleggiare in questo brano acustico, che il violino arricchisce di brividi lungo la schiena e di lacrime. Lui che guarda le fotografie di un uomo che gli somiglia ma che non ha mai davvero conosciuto.

Mourning Doves è un altro brano poetico, evocativo, la sua voce è convincente e il testo così semplice e vero. Chitarra acustica ed elettrica che si intrecciano al suono del violino, una ballata folk rock, fra il sole e le nubi.
Questo ragazzo ha un dono di narratore fuori dal comune come in Homeland dove utilizza, con una ballata country con il mare e il violino in sottofondo, la poesia di una sua amica (Victoria Ruiz) che ci parla della speranza di una nuova patria, dell’angoscia lasciata alle spalle per cercare una vita migliore oltre il mare, oltre le brutture della vita. E’ una ballata non convenzionale, la chitarra e la melodia del bridge centrale sono originali e non danno mai la sensazione di già sentito. L’assolo poi chitarra-violino è eccezionale. Bellissima.
Non c’è un pezzo che abbassa l’intensità e l’interpretazione di un pezzo del cantautore gallese Josh Beddis, The Old House, ce lo dimostra. Il violino è come la voce, sempre in primo piano e la melodia di questo brano prende l’anima e il bellissimo testo, che ci parla della voglia di ricostruire una vecchia casa abbandonata regalandole amore e vita, non è da meno. Probabilmente un racconto metaforico con l’amore che può ricostruire rapporti e sentimenti andati perduti o lasciati andare in rovina. Anche qui l’assolo è uno squarcio nel cielo nuvoloso. Poetico e potente.
Poesia di strada, musica country e tanta passione. Questo trasuda da un altro bellissimo pezzo, Me and Hank Williams, una dedica al padre del country che lo ha ispirato, a sua madre che creduto in lui e è nella sua anima, a guidarlo in questo viaggio che è stato lasciare la casa e cercare fortuna in giro, per sognare di essere il nuovo Hank. Il rock fa sempre capolino e rende questi pezzi così originali, così freschi.

Il disco si chiude con Chasing Ghosts, un altro brano oscillante fra la ballata country e la ballata rock, violini e sferzate elettriche. Un pezzo lunghissimo, quasi dal sapore southern con quell’anima da jam session ma fortemente country western, lo sottolineo. Testo malinconico e voce intensa, il modo migliore di terminare un lavoro breve ma senza cali di tensione, senza quella sensazione di già sentito o noioso. Un disco che piace dal primo all’ultimo secondo. Originale e ispirato, Luke Hendrickson si conferma un grande artista, un poeta nel vestito di un rocker e con la chitarra country sulle spalle.
Non aspettate e andate con lui in questo viaggio nella musica e nella poesia americana, non ne rimarrete delusi.

 

Buon ascolto,
Claudio Trezzani by Trex Roads www.trexroads.altervista.org
nel blog trovate la versione inglese di questo articolo a questo link : https://trexroads.altervista.org/a-place-to-call-luke-hendrickson-2021-english/

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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