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Dall'archivio:

Luca Morisi, Matteo Salvini e l’odore del sangue- di Matteo Spigolon

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Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

La vicenda di Luca Morisi, guru social di Salvini, è su tutte le prime pagine di giornali e notiziari.

Il festino nella cascina di Belfiore, la “droga dello stupro”, la cocaina, i ragazzi rumeni.

Non ho la minima idea di quanto ci sia di vero e quanto di romanzato, né se si configurino dei reati, c’è un’inchiesta in corso che lo stabilirà.

Ma il mio compito non è certo quello di fare il giudice, anche se la tempistica molto ravvicinata alle elezioni alimenta dei sospetti.

Né di fare il moralizzatore.

D’altronde…

“Chi è senza peccato, scagli la prima pietra”
– Vangelo secondo Giovanni: 8,3

Il mio compito è quello di analizzare le situazioni in chiave politica e di potere, e rispondere a domande come queste: Quali sono le implicazioni di questa storia? Chi sale e chi scende? Perché adesso?

Ma non solo.

Partiamo da una cosa fondamentale: Morisi non era solo l’ideatore della c.d. ‘Bestia’, la ‘macchina’ social che ha contribuito a rendere grande il Capitano, ma un fidato consigliere e un uomo di peso dentro la Lega. Insieme al suo socio, Andrea Paganella, ha acquisito negli anni grande potere.

Se vuoi “far male” a una persona, non necessariamente devi ‘aggredire’ quella persona, puoi iniziare facendole terra bruciata intorno e colpendo chi compone la cerchia più ristretta.

Nel caso di Salvini, pensiamo a Durigon e Morisi.

Attendi l’errore, o fai in modo di indurlo, e poi colpisci.

Agli avversari non è parso vero di poter commentare una situazione del genere.

Pur ribadendo che si tratta di una vicenda privata, nessuno ha rinunciato alla stoccatina.

Quando sentono l’odore del sangue, le iene attaccano.

Ma l’attacco che fa più male, spesso, viene dall’interno.

Negli ultimi mesi, da parte dei presidenti di regione e di Giorgetti è stato tutto uno smentire la tattica del capo.

L’ultima intervista concessa a “La Stampa” mi sembra sia chiara.

Salvini, già in difficoltà dall’inizio della pandemia, ora è ancora più vulnerabile.

Un avversario, che sia interno o esterno, che magari sembra invincibile, quando va attaccato/contrastato?

Non certo quando è al top, il rischio di farsi del male sarebbe altissimo.

La prima ferita seria segna l’inizio delle difficoltà.

Pensa al film Rocky IV: dopo la morte di Apollo, Rocky è dato per spacciato contro Drago. Sul ring, tutto sembra far presagire una nuova tragedia, ma all’improvviso Rocky provoca una brutta ferita all’occhio del russo. Una ferita che cambia le sorti dell’incontro.

La prima ferita seria di Salvini è stata la famosa estate del Papeete.

Fino a quel momento nessuno aveva osato mettere in dubbio una sola parola del segretario.

Spesso la politica è un gioco di resistenza.

Resistere per attaccare al momento giusto.

La corrente governativa interna al partito (Giorgetti, Zaia & C.) ha fatto così.

Dal loro punto di vista è corretto, hanno fatto le mosse giuste.

Salvini, invece, mi è parso un po’ troppo sulla difensiva.

Quando invece dovrebbe avere un altro atteggiamento per tirarsi fuori dal pantano in cui si trova.

Prendi, ad esempio, Alex Mahone nella quarta stagione di Prison Break: da super poliziotto a caccia degli otto di Fox River a carcerato a Panama, fino alla partecipazione a una missione sotto copertura per conto della Sicurezza Nazionale. Quando l’agente a capo dell’operazione gli chiede un consiglio su cosa deve fare per evitare di essere ucciso dal killer che lo sta braccando, Mahone risponde più o meno così: “Ho arrestato delinquenti di ogni tipo, ma un ingegnere edile dell’Illinois mi ha fregato. Sai come? Smettendo di scappare e diventando aggressivo.”

Penso sia quello che dovrebbe fare Salvini.

E ci sarebbero diversi modi di farlo, ma questa è un’altra storia che necessiterebbe di molte malefiche e maliziose puntate.

Durante le sessioni private andiamo ad approfondire anche situazioni di questo tipo, non solo cose tecniche, perché la strategia (che può anche cambiare, se necessario) guida il resto e la parte psicologica spesso conta più dei mi piace sui post.
di Matteo Spigolon, fondatore di Fabbrica Politica

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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