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L’oro della Turchia e il ‘kemalismo’ 3.0 di Erdogan: un bel libro ne analizza i perché

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La Turchia è senza dubbio alcuno stato il nodo geopolitico tra Europa ed Asia nell’era pre Covid, e lo sarà certamente anche quando l’emergenza sarà finita.

Vent’anni di dibattito politico sull’opportunità o meno di ammettere il più grande Stato islamico a ridosso del Vecchio Continente nell’Unione Europea (a partire dal governo Berlusconi del 2001), le troppo spesso dimenticate parole di Joseph Ratzinger su Turchia e mondo islamico riportate di recente nell’appassionato j’accuse di Giulio Meotti, il tentato golpe del 2016: comunque la si veda, la questione turca è centrale per molti aspetti, a partire appunto da una disciplina troppo spesso sottaciuta com’è la relazione tra geografia e assetti politici.

L’ORO DELLA TURCHIA

Ecco perché risulta assai preziosa la lettura di un testo analitico, lucido ed a tratti impietoso come quello che Giovanna Loccatelli ha scritto di recente, “L’oro della Turchia, il business dell’edilizia che ha travolto l’aspetto del paese e il suo tessuto sociale” (casa editrice Rosenberg & Sellier), nato dalla necessità di descrivere un Paese oggi molto diverso da quello celebrato nelle immagini del famoso fotografo turco Ara Guler, morto a 90 anni nel 2018. Foto che ritraggono angoli della città che non esistono più, sostituiti da progetti faraonici e modernissimi.

“Se prima l’attenzione del turista, attraversando il Bosforo con il traghetto, era catturata dai minareti di Sultanahmet, ora i grattacieli, simbolo di una nuova modernità, sono il tratto distintivo della città”, scrive Loccatelli. “Ponti, tunnel, centri commerciali, complessi residenziali di lusso sparsi un po’ ovunque, nelle principali città turche. Su questi progetti si concentra tutta la potenza della propaganda politica del governo, esaltandone lo spirito nazionalistico per unire il più possibile a sé il suo popolo”, ha raccontato in un’intervista.

L’autrice parte da un’attenta e quasi del tutto inedita, per l’Italia, analisi urbanistica: la figura politica centrale che ha regnato ininterrottamente su questo processo (dai tratti vagamente assimilabili a quelli di un satrapo, o appunto… di un sultano) è ovviamente quella di Recep Tayyip Erdogan, e non da ieri.

Ancor prima di fondare nel 2001 il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP), perno del progetto di ‘rinascita’ turca, Erdogan è stato infatti sindaco di Istanbul nel corso degli anni Novanta. Nel nuovo Millennio comincerà invece la reggenza istituzionale della Nazione modellata da Ataturk, di cui a distanza di quasi un secolo esatto sta quasi specularmente seguendo le gesta.

La trasformazione urbana, di cui racconta l’autrice, non parla solo dello sviluppo architettonico delle città, ma anche della società che ne ha beneficiato o sofferto. Perché se è vero che Erdogan ha dato lavoro a milioni di turchi nel settore dell’edilizia e delle costruzioni, è altrettanto innegabile che nelle grandi città sono aumentate le disuguaglianze.

I compound ed i centri commerciali sono il simbolo di questa nuova urbanità. “Numeri da record: solo nella capitale economica del paese sono attivi oggi 123 centri commerciali, 15 in costruzione, per un totale di 138! Nel contesto neoliberista di Istanbul, le pratiche  commerciali  rappresentano un luogo – anche figurativo – di conflitto e separazione sociale. Molti di questi mall, costruiti nei quartieri d’affari centrali e nelle aree urbane emergenti, sono a uso e consumo dei turchi bianchi – Beyaz Türkler in turco -: una fetta sociale ristretta ma fondamentale per capire il paese della Mezzaluna.

Ed è questo che incuriosisce: mentre un’altra rivoluzione islamica, forse la più celebre tra quelle del Secolo breve (quella in Iran), ha sempre ricacciato sdegnosa le pratiche liberiste, in Turchia si sposa l’islamismo che strizza l’occhio al radicalismo (basti vedere come si sta comportando Erdogan nei conflitti dello scacchiere mediorientale..) con una crescita economica indotta da un capitalismo di Stato poderoso e per certi versi violento.

Ecco perché, a differenza del ‘tuffo’ nella modernità novecentesca che Ataturk ha cercato di far compiere ad un popolo ed una Nazione (se smettessimo di chiamarli paesi…) che non ha propriamente digerito Montesquieu e la separazione dei poteri, Erdogan sta rimodellando la Turchia in modalità uguale e contraria al padre della (fu) moderna tigre ottomana.

Ben prima del Covid i segni evidenti della crisi economica hanno segnato la storia recente dello Stato, basti vedere cosa sta accadendo a una delle espressioni di potenza erdoganiana (la pallacanestro, con la Turkish Airlines a fungere da cavallo di Troia per il dominio sul secondo sport più popolare in Europa), e proprio  dalla Istanbul che vide sorgere il novello sultano, quasi 30 anni fa, il giugno scorso è stato eletto sindaco Ekrem Imamoglu (sotto in foto), classe 1970, in distonia con l’Akp e che nei riferimenti ideali del suo partito (ri)mette il kemalismo sulla scena.

Basterà a inceppare il meccanismo della poderosa macchina da guerra neo ottomana di Erdogan? Difficile, almeno in un breve arco di tempo, dacché (proprio con la leva dello sviluppo urbano senza freni) la Turchia si è imposta come il più discutibile (ancorché mastodontico) esempio di gigantismo di uno Stato mussulmano a ridosso della stanca Europa.

Ecco perché il libro di Giovanna Loccatelli è un preziosissimo vademecum per rendersi conto di cosa sta accadendo in uno dei punti più caldi e turbolenti della Terra.

Fabrizio Provera

 

L’ oro della Turchia. Il business dell’edilizia che ha stravolto l’aspetto del Paese e il suo tessuto sociale- di Giovanna Loccatelli, prefazione di Alberto Negri, 

editore Rosenberg & Sellier

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