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Dall'archivio:

Lorenzo (Musetti), il Magnifico- di Teo Parini

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Sinner e Berrettini sono due giocatori enormi che se avranno la pazienza di aspettare il ritiro di Djokovic e Nadal – Alcaraz permettendo – vinceranno qualcosa di grosso. Dopo anni di vacche piuttosto magre e con l’ultimo Slam, ma pure la Davis, che ha ancora le meravigliose sembianze di Panatta, l’Italia del tennis, se non ancora desta del tutto, ci si appresta a esserlo carica di giustificata speranza. Ciò vale per il tennis degli almanacchi e dei numeri, per molti l’unico che conta.

Per gli insoddisfatti cronici, invece, quelli che nell’ambito dello sport che fu pallacorda si perdono la conta dei quindici perché interessati più al come che al quanto, non è detto che una partita di Sinner sia meglio di una di Pozzi, per chi se lo ricorda, o di Canè, dove invece la dimenticanza non è ammissibile. Questione di genìa. Ma anche per costoro il momento storico è propizio quando a tingersi di azzurro sono le pennellate di Lorenzo Musetti, uno che, parafrasando Brera, alla disciplina dà sfacciatamente del tu.
Musetti, vent’anni da poche settimane, è il nome che campeggia circolettato di rosso sui taccuini dei cacciatori di teste più attenti ormai da una decade. Molto prima che, da sedicenne, divenisse il piu giovane di sempre a vincere una prova juniores del Grande Slam. Il talento, inteso come la capacità di compiere con semplicità azioni complesse ad altri precluse, non prevede gestazione: lo si intuisce da come uno impatta la prima pallina della propria vita. E Musetti, in tal senso, appartiene alla categoria dei predestinati, microsmo inaccessibile fatto di uomini capaci di aggiungere qualcosa di mai visto ad un gioco che, nel frattempo, da elitario s’è fatto planetario.
Se Sinner, quindi, incarna la sublimazione del corri-e-tira (forte) come lasciapassare per la gloria e Berrettini l’archetipo di chi, attraverso il pane duro del lavoro, aggiunge ogni volta un pezzettino di redditività al proprio tennis per avvicinarlo a quello di un campione, Musetti è la variabile impazzita, il colpo di fulmine. Il risarcimento degli Dei per averci fatto sopportare la dittatura di fenomenali schiacciasassi intrisi di una noia mortale in ciò che fanno, cioè vincere, e dicono, ovvero mai nulla di interessante.
Naïf, che letteralmente significa ingenuo ma non è certo questo il caso, è, per farla breve, la collocazione artistica ai margini delle tendenze moderne e così Musetti potrebbe tranquillamente essere un quadro di Henri Rousseau. Come nella sua opera più iconica, “Il sogno”, il poliedrico artista francese si dice che adoperò cinquanta tonalità di verde per dare spettacolarità alla natura, Lorenzo è un giocatore che sarebbe capace di proporre in serie la stessa esagerata quantità di soluzioni balistiche diverse l’una dall’altra per imporre la propria legge. Quella delle variazioni, che, oltre ad essere antidoto all’omologazione, rappresenta la strada tecnicamente più impervia per avere ragione di un avversario nell’epoca delle racchette-bazooka e delle superfici di gioco in fotocopia.
Fosse uno scrittore, invece, Lorenzo da Carrara sarebbe un novello Miguel de Cervantes, il geniale compositore iberico del Don Chisciotte, perché, con la stessa pungente ironia, si burla della società contemporanea, tennistica nello specifico, sfancula gli stereotipi che imbruttiscono l’arte imperitura che fu di Bill Tilden, rimarcando con gestualità dal gusto antico l’inadeguatezza del tennis moderno quale nemico giurato degli ideali originari di eleganza e bellezza.
Non ci è dato sapere se e quanto vincerà in una carriera – en passant, ieri ha vinto il suo primo torneo ATP surclassando nel gioco proprio Alcaraz – che molto egoisticamente si spera la più lunga possibile. A quelli come Musetti, più che chiedere di sollevare trofei a ripetizione, si ha il dovere di raccomandare un’altra cosa: rimanere fedele a sé stesso, alla propria dimensione di artista. Perché sarebbe un delitto qualora Lorenzo mettesse in discussione la propria cifra stilistica accettando la realtà del contesto
E se per qualcuno tutto ciò ha i crismi della follia, ce ne faremo una ragione.
Teo Parini

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