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‘+++ L’Italia che va a fuoco: dall’inizio dell’anno in fumo un’area grande come Roma, Napoli e Milano +++

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AMBIENTE – “L’Italia è in zona rossa. Questa volta non per quanto riguarda il Covid ma per via di un nemico ben più visibile: il fuoco”. Ma “il fatto grave è che ben il 44% dei comuni non ha fatto richiesta per il catasto degli incendi”. E così “dall’inizio dell’anno, sono andati in fumo oltre 150 mila ettari di boschi e foreste ma non è tutto”. Ricci, scoiattoli, cervi, caprioli, volpi, ghiri, passeri, capinere, falchi, tartarughe, salamandre, lucertole: sono stimati in diversi milioni gli animali selvatici arsi vivi negli incendi boschivi che, dall’inizio dell’estate, hanno colpito soprattutto il Sud Italia, dove la crisi climatica morde con la desertificazione delle terre. “158.000 ettari bruciati in totale, come se fosse andata a fuoco una superficie equivalente alle città di Roma, Napoli e Milano insieme”. Così il dossier diffuso oggi da Europa Verde.

 

“I dati sono forniti dell’European Forest Fire Information System (EFFIS) della Commissione europea e fotografano un quadro angosciante. Secondo i dati forniti dall’Arma dei Carabinieri, solo nel 2020, il 44% dei comuni non ha presentato la richiesta del catasto degli incendi. Se abbiamo catasti fermi da anni significa che abbiamo centinaia di migliaia di ettari che non sono sotto tutela, e dove paradossalmente è consentita l’attività venatoria e sono consentite le attività di trasformazione urbanistica”, dicono i co-portavoce di Europa Verde Eleonora Evi e Angelo Bonelli “La situazione è gravissima ed è figlia di una politica senza scrupoli che, anziché puntare sul controllo e la prevenzione ha semplicemente pensato di ignorare il problema, cancellando una risorsa preziosissima come il Corpo Forestale dello Stato e privatizzando de facto la flotta di canadair- proseguono- al governo, che si riunisce domani, chiediamo di salvaguardare il territorio percorso dal fuoco in questi mesi e far valere la tutela del catasto degli incendi, impedendo l’attività venatoria e l’attività di trasformazione urbanistica”, concludono Evi e Bonelli.

 

In Italia – prosegue il dossier di EuropaVerde – il 10% del territorio è molto vulnerabile. La Sicilia è la regione più colpita (42,9% della superficie regionale), seguita da Molise, Basilicata (24,4%) e dalla Sardegna (19,1%). Per il Cnr (Consiglio Nazionale delle Ricerche), le aree a rischio sono il 70% in Sicilia, il 58% in Molise, il 57% in Puglia, il 55% in Basilicata, mentre in Sardegna, Marche, Emilia-Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania sono comprese tra il 30 e il 50%, dati che indicano che “il 20% del territorio italiano in pericolo di desertificazione”.
È la Sicilia, la regione italiana a maggiore rischio di desertificazione: secondo il Cnr “questa eventualità incombe sul 70% dell’isola e tale dato è ora confermato dall’analisi dei dati diffusi dall’Osservatorio ANBI sulle Risorse Idriche.
Ad accentuare il pericolo, infatti, non sono solo i quantitativi pluviometrici, ma l’andamento delle piogge con forti differenziazioni territoriali”.
Le cause del degrado dei suoli sono legate a diversi fattori, sia naturali che antropici. “La desertificazione rappresenta il risultato finale di questo complesso sistema di interazioni che porta a pregiudicare, in modo pressoché irreversibile, la capacità produttiva degli ecosistemi naturali, agricoli e forestali”, fattori determinanti “che possono condurre al degrado dei suoli sono in particolare: l’erosione, lo sfruttamento eccessivo delle falde idriche, gli effetti della compattazione, la conversione delle aree agricole dovuta all’urbanizzazione ed alle dinamiche di popolazione nelle aree costiere, la salinizzazione primaria e secondaria, l’impatto degli incendi forestali e dei disboscamenti, la perdita di suoli su detriti alluvionali recenti a causa dell’estrazione di sabbia e ghiaia”.

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