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L’eutanasia dei bambini in Belgio non fa (più) notizia

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“La legge shock del Belgio: eutanasia per i bambini”, titolava Repubblica il 14 febbraio del 2014. Per la prima volta al mondo, una legge aveva stabilito che l’eutanasia si applicasse anche ai minori con malattie terminali. Lo scandalo fu enorme, almeno così sembrò. Perché quattro anni dopo, l’eutanasia dei bambini non fa più nemmeno notizia.

Alcuni giorni fa la Commissione federale per il controllo dell’eutanasia, un ente governativo, ha diffuso il bilancio della legge. Nel 2016 e nel 2017 sono morte 4.337 persone per eutanasia, registrando un aumento di anno in anno del 14 per cento. Sono stati uccisi dai medici anche tre bambini, di sette, nove e dodici anni. Oltre ai minorenni sono stati uccisi dal personale sanitario diciannove ragazzi fra i diciotto e i ventinove anni. Di questi, 2.807 erano malati di cancro, mentre 2.781 avevano semplicemente problemi legati alla vecchiaia, come la perdita della vista. Il 77 per cento di loro soffriva di un disturbo psicologico o comportamentale, mentre solo la metà aveva superato i settant’anni. In pratica, l’eutanasia nel paese-pioniere della “dolce morte” è fuori controllo.

Questi sono i primi tre casi di eutanasia di minori dalla legge di febbraio 2014 e avevano un disturbo neuromuscolare (la distrofia di Duchenne), un tumore maligno all’occhio, danni al sistema nervoso centrale e fibrosi cistica. Non siamo di fronte a casi come quelli di Alfie Evans, Charlie Gard e Isaiah Hastruup, i tre bambini cui è stata staccata la spina contro la volontà dei propri genitori. In Belgio, i bambini sono eutanasizzati nel rispetto del desiderio delle loro famiglie.

A differenza però di quattro anni fa, non c’è più dibattito sui giornali, nella politica, nell’ambiente intellettuale, anche all’interno delle stesse gerarchie ecclesiastiche, intimidite e irrilevanti. I numeri sono accolti con indifferenza. “Del Belgio di Baldovino non resta quasi niente” scrive questa settimana Le Soir. In questi giorni cade, infatti, il venticinquesimo anniversario della scomparsa di re Baldovino, il sovrano simbolo del Belgio, integerrimo, austero, un po’ scialbo, che aveva favorito la riconciliazione nazionale con una famiglia reale uscita a pezzi dalle insidie della guerra. Baldovino si era plasmato a immagine del proprio paese, quasi mimetizzandosi nel grigiore di cui il Belgio si compiace. Ma fu un re “strano” per i tempi, che Giovanni Paolo II elogiò come “l’esempio di vita che ha lasciato ai suoi concittadini e a tutta l’Europa”. Quel giorno di primavera del 1990 il sovrano lasciò allibiti i costituzionalisti facendo prevalere le sue ragioni morali e abdicando per un giorno e mezzo – un “congelamento” senza precedenti – pur di non apporre la sua firma alla legge sull’aborto. In questi giorni la commissione Giustizia della Camera in Belgio sta discutendo la proposta di trasformare l’aborto in un atto medico come qualsiasi altro, senza più restrizioni legali e penali. La proposta verrà poi votata in Parlamento, dove c’è già una maggioranza trasversale in grado di approvare la norma.

La nostra società, ha detto il primo firmatario di una petizione che chiede di non modificare la legge, il cardinale Jozef De Kesel, “fa sempre più fatica ad accettare tutto ciò che perturba il nostro modo di vivere”. Già. “A quanti sono sorpresi della mia decisione – scriveva Baldovino il 30 marzo 1990 – domando: è normale che io sia il solo cittadino belga obbligato ad agire contro la mia coscienza? La libertà di coscienza varrebbe per tutti salvo che per il re”.

Trent’anni dopo, l’immagine di quel sovrano appare sempre più seducente, mentre a essere scialbo, forse, è il Belgio, passato da essere un bastione della fede ad avanguardia della secolarizzazione radicale. E soprattutto a non avere più alcun problema di coscienza.

Giulio Meotti, Il Foglio (26/07/2018)

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