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Dall'archivio:

L’eresia ambientalista (e culturale) di Alex Langer (da www.barbadillo.it)

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Una delle figure più rappresentative dell’ambientalismo in Italia è stato l’altoatesino (o sudtirolese, come forse avrebbe preferito dire) Alex Langer (1946-1995). Trovatosi a vivere in una terra di confine, dove le spinte autonomistiche erano piuttosto forti fino a sfociare in violenze, Langer scelse sempre la linea della pacifica convivenza tra etnie grazie soprattutto, come scrive nella Autobiografia pubblicata nel marzo 1986 sulla rivista Belfagor, al clima di tolleranza respirato in famiglia e a un’innata «sensibilità sociale cristiana».

La sua formazione culturale avvenuta in lingua tedesca non gli impedì di comprendere le ragioni degli altri. Negli anni ’70 aderì a Lotta continua fino al suo scioglimento e nel 1984 fu tra i fondatori delle Liste Verdi. In un memorabile intervento, tenuto nel 1985 a Firenze in occasione della costituzione delle Liste Verdi, affermò – contro la logica dei blocchi – che «gli ecologisti non sono né di destra né di sinistra», ma che potevano diventare «punto di incontro, di rifondazione e di fusione di aspirazioni nuove e vecchie, dove accanto a qualche bandiera lasciata cadere a sinistra si raccolga anche qualche idealità smarrita tradizionalmente dalle sinistre e magari rifugiata a destra: il senso della differenza contro un malinteso trionfo dell’eguaglianza; il bisogno di identità di tradizione di “patria” particolare; una domanda di spiritualità e di interiorità; una rivalutazione dell’iniziativa personale e di gruppo rispetto alla priorità dell’”ente pubblico”; una ricerca di “comunità” non riconducibile alla socialità politicizzata e strutturata propria della tradizione di sinistra» (Oltre la destra e la sinistra, in Gaia, primavera 2004).

Giornalista, insegnante, fautore del dialogo a 360° – non solo tra gruppi etnici, ma anche tra gruppi politici, ivi compresa la destra radicale – pose fine tragicamente alla sua vita il 3 luglio 1995 lasciando scritto nel biglietto d’addio: «Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto».

Aggiungiamo, en passant, che la lezione di Langer fu tenuta ben presente dall’ecologista Paolo Colli (1961 – 2005), che proveniva invece dalle file del MSI e della destra radicale, quando nel 1986 fondò l’associazione ecologista Fare Verde. Anche Colli cercò di realizzare di fatto quel superamento della distinzione destra-sinistra auspicato da Langer. Come Langer morì in giovane età, avendo contratto una leucemia nel Kosovo (bombardato dalla Nato con bombe all’uranio impoverito), dove si recava frequentemente a portare aiuti ai bambini sia serbi che albanesi.
Concetto fondamentale negli scritti ed interventi di Langer, poi raccolti in vari volumi postumi, tra cui segnaliamo “Non per il potere” (ed. Chiare Lettere, 2016), è senz’altro quello della conversione ecologica: «nessun singolo provvedimento sarà abbastanza forte da opporsi all’apparente convenienza che l’economia della crescita e dei consumi di massa sembra offrire», senza che il cambiamento dello stile di vita sia desiderato da ciascuno di noi. Ci vuole l’azione lungimirante dall’alto, ma anche la spinta dal basso: «la conversione ecologica è cosa molto concreta. Esempi possibili si trovano in tutti i campi, dall’uso di detersivi meno inquinanti alla rinuncia frequente dell’automobile, dalla sistematica separazione dei rifiuti per recuperarne il massimo e non appesantire la terra con residui “indigesti” alla riduzione dei nostri consumi energetici. Occorrono comportamenti personali, ma anche “decreti del re”».
La conversione ecologica non può che partire dalla consapevolezza della falsa ricchezza e dell’apparente benessere (tra montagne di rifiuti radiazioni nucleari e consunzione della fantasia) prodotto dal progresso, da lui paragonato al Re Mida: «L’antico re Mida – che ottenne il compimento del suo desiderio che ogni cosa che toccava si trasformasse in oro – ci appare come il vero patrono dei culti del progresso e dello sviluppo, l’attualissimo predecessore dei benefici della nostra civiltà».

Denunciando la formula mistificatrice dello “sviluppo sostenibile”, nella quale la consapevolezza di porre un limite alla crescita è di fatto vanificata dallo “sviluppo”, si chiede perché l’allarme suonato già da tempo non abbia ancora prodotto la svolta desiderata. E la risposta cruda è che «malfattori e vittime coincidono in larga misura», e per questo la gente è restia al cambiamento.
Affinché la conversione si realizzi, deve diventare desiderabile e, per diventare desiderabile, bisogna avviare una graduale rivoluzione culturale: «ci si dovrà sottoporre alla fatica dell’intreccio assai complicato tra aspetti e misure sociali, culturali, economici, legislativi, amministrativi, scientifici e ambientali. Non esiste il colpo grosso che possa aprire la via verso la conversione ecologica».

Se «finora si è agito all’insegna del motto olimpico citius, altius, foritus (più veloce, più alto, più forte), che meglio di ogni altra sintesi rappresenta la quintessenza dello spirito della nostra civiltà» occorre adesso radicare «una concezione alternativa, che potremmo forse sintetizzare, al contrario, in lentius, profundius, suavius (più lento, più profondo, più dolce)».

Così Langer concludeva la sua “Autobiografia” consegnandoci un alto messaggio morale: “In passato ho forse imparato di più dai libri. Nei tempi più recenti mi sembra di imparare di più dagli incontri che mi capita di fare […]. Posso dire che rifuggendo drasticamente dai salotti e dalle persone che mi cercano in funzione di qualche mio ruolo, vivo come una delle mie maggiori ricchezze gli incontri, già familiari o nuovi che siano, che la vita mi dona. Vorrei continuare ad apprezzare gli altri ed esserne apprezzato senza secondo fini. Forse anche per questo converrà tenersi lontani da ogni esercizio di potere».

Sandro Marano

@barbadilloit

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