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Dall'archivio:

Le castagne ‘travolte’ dalla nuova era dell’industrializzazione- di Emanuele Torreggiani

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Ancora non è molto quando, in queste giornate che guardano all’estate e già anticipano nelle solide ombre l’autunno, per piazze e giardini gli anziani andavano cogliendo con le mani a rastrello le castagne degli ippocastani. Questi alberi dalle chiome vaste come lo sono i sogni, arrivati dalla Concincina a metà del Seicento per il piacere di un viaggiatore parigino, lo stile lo dettava la Francia, generano un frutto lucente quanto una gemma rinchiuso in un riccio dalla scorza gommosa. Raccolti, bolliti e spelavati. Il frutto poi macinato era ghiottoneria per tacchini e capponi e maiali, la cui carne si fa morbida e bianca, prossimi alle carneficine del dicembre. E l’acqua, bollendo, scialla il locale d’effluvio dolce e intimo del sottobosco in rugiada. Suggerivano che tenersi in tasca una castagna ‘matta’ avrebbe protetto dai raffreddori imminenti. Sono sapienze, anche queste, sia pur esigue, che vanno scomparendo dopo secoli e secoli. È un segnale di come la civiltà dell’industria abbia preso totalmente il sopravvento.

 

Eppure quegli uomini che vedevo all’opera erano anch’essi dediti alla fabbrica, suonata la sirena però ritornavano alla loro condizione originaria, la terra, mantenendone così affetto familiare. Nei cortili che ancora abitavano, oggi dopo restauri imponenti sono alloggi di pregio, dirimpetto le abitazioni insistevano stalle e, sin sulla via, era frequente udire un muggito, un grugnito e il richiamo supplichevole della chioccia. Al riguardo in via Meravigli, saranno più di quattro decenni, alla buon’ora, gli universitari venivano salutati, forse viatico dell’imminente futuro, dal raglio di un somaro che lì trascorreva le sue ultime stagioni. Ora le castagne matte sfarinano lungo i cordoli dei marciapiedi e impastano le suole dei distratti passanti che sono i nipoti di quei vecchi. L’industria e la terziarizzazione ha scollinato definitivamente da quel mondo delle origini in cui suoni e sapienze erano profonde come il tempo del mondo. Tanto che la fine del Medio Evo non coincide, come scrive la storiografia, con la scoperta dell’America ma con la nascita della Civiltà Industriale che ha segnato l’inizio di una nuova Era. Noi abbiamo ancora intravisto queste antiche usanze e questi antichi costumi, sia pur minimi, e ne parliamo alla stregua di un miraggio.

Emanuele Torreggiani

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