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Lavoro e Lombardia/2: smart working, + 1000% in 1 anno

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 MILANO  E’ ormai dall’inizio del 2020 che non si parla di altro che smart working e i numeri, in effetti, sono impressionanti: se a inizio 2019 i lavoratori da remoto in Italia erano meno di 600mila, sono diventati più di sei milioni in marzo 2020, un aumento di oltre mille punti percentuali, come testimoniano i dati che oggi Corso Mariano, professore di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano, ha esposto durante l’evento ‘Lo smart working per il futuro del lavoro: prospettive e sfide per imprese e pubbliche amministrazioni’, organizzato dalla Prefettura di Milano. Con smart working, ricorda Mariano, non si intende necessariamente il lavoro da casa, ma una modalità organizzativa che consiste nel “dare alle persone l’autonomia e farle lavorare per risultati”.
   I quattro punti chiave per rendere possibile lo Smart Working, ricorda infatti Pietro Ichino, docente di diritto del lavoro all’Università Statale di Milano, sono “la natura lavorativa, che deve essere compatibile con il lavoro da remoto; gli strumenti tecnologici; la struttura del rapporto lavorativo, basata sui risultati da ottenere e non sulle ore lavorate; e infine la logistica personale, ossia il disporre di un luogo adatto al lavoro”. Chiaramente, ricorda Ichino, nel primo momento di crisi pandemica lo smart working è diventato una necessità, anche in contesti in cui questi quattro requisiti erano assenti, ma ciò può essere giustificato solo da un’emergenza. Proprio in questo senso, Ichino sottolinea la necessità di rendere le pubbliche amministrazioni più compatibili con forme di lavoro agile, ricordando come durante la pandemia in molti casi la PA si sia fermata, e che quindi non si possa parlare di vero smart working, mancando alcuni dei requisiti sopraccitati.

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