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L’appello di Stefano Viganò & Alfredo Oggioni: “Facciamo squadra per ripartire”

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MAGENTA – “Non riapriremo i ristoranti fino ad emergenza rientrata: le misure restrittive ipotizzate sono sostanzialmente inapplicabili, quindi non riapriremo fino a che la situazione si sarà normalizzata alle condizioni esistenti prima della pandemia. Altrimenti, chiedeteci di chiudere per sempre e fallire”.

Così si sono espressi i Ristoratori Toscani – forti di 5000 adesioni di cui 1700 solo a Firenze – in una lettera aperta rivolta al sindaco Dario Nardella e al presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, annunciando affitti sospesi e richiedendo l’abbattimento della tassa sul suolo pubblico (non utilizzato) e sui rifiuti (non prodotti). “Due mesi al crac e Conte non ha piani”.

Su La Verità anche lo sfogo di Arrigo Cipriani, il titolare dell’Harry’s Bar che freme per tornare a lottare, anche a mani nude. “Il governo va a tentoni e l’Ue ci fa l’elemosina – spiega – Numeri alla mano, sarei già finito, con 75 dipendenti. Solo Zaia parla la mia lingua”.

Di Covid si può morire anche senza contrarlo. Il blocco dell’economia dovuto all’emergenza segna un’altra vittima: il ristoratore di Palinuro Carmelo Serva, ammazzatosi con un colpo di fucile. L’uomo aveva da poco ristrutturato il suo locale, apprezzato da critici e personaggi famosi. (Libero) 

Intanto, sulle misure per la ristorazione nella Fase 2 interviene anche Federico Francesco Ferrero, che a proposito delle discusse barriere in plexiglass dice: “Chi immagina che andremo a cena divisi da un vetro, ignora che la spinta al convivio non è spinta dalla fame, ma dal piacere di condividere l’incontro con il sapore. Solo dirigenti d’azienda, usi ad asettiche mense o a panini in sala riunioni potevano ipotizzare di recludere gli avventori con paraventi da open space, perché i clienti, allenati da settimane di cucina domestica, sceglierebbero allora di organizzare i propri banchetti direttamente nello sgabuzzino di casa…” (La Stampa).

Intanto ha raggiunto le 4.000 visualizzazioni l’inchiesta de IlGolosario.it pubblicata venerdì sullo stato dell’arte della ristorazione italiana.

Condividiamo volentieri gli spunti che l’amico Stefano Viganò, titolare dell’agriturismo Cascina Bullona perché le dichiarazioni e le notizie apparse in queste giorni sulla stampa nazionale (vedi sopra) rispetto al comparto della ristorazione al tempo del coronavirus fanno riflettere e parecchio. Perchè come ben scrive Viganò assieme all’amico Alfredo Oggioni del ristorante Lucrezia di Castellazzo dè Barzi, lo stare a tavola è soprattutto relazione. Tolto quello viene meno tutto il resto. 

Ma andiamo avanti con le parole di Viganò: “Quella del delivery è una vana corsa in avanti che purtroppo posticipa il momento della agonia e poi comunque la morte  delle nostre attività (*nel mio locale l’8 di marzo con le distanze imposte ho fatto 45 coperti in due sale anziché i soliti 100/120 ). Viceversa, sarebbe opportuno che ci si concentrasse su un movimento di opinione che coinvolga tutti noi addetti al settore”.

“Come possono pensare i nostri governanti e politici che potremmo resistere con i costi fissi di prima e la clientela dimezzata e per di più incarognita, nel caso sbagliassimo di 30 cm il distanziamento? E quando si dovranno riaccendere i riscaldamenti (perché nei fatti le prenotazioni spostate si stanno concentrando da settembre in poi e più precisamente su ottobre) ed anche questi costi si aggiungeranno agli altri cosa sarà di tutti noi?

 

Fortuna vuole che io abbia anche l’azienda agricola che almeno darà cibo alle persone a me più vicine – prosegue Viganò nella sua accorata testimonianza – ma non potrò fare lavorare anche gli addetti al settore della ristorazione nei campi. In queste condizioni anche i più bravi ( e io non lo sono) a dicembre chiuderanno.

Quasi quotidianamente con alcuni amici ristoratori e agrituristici si discute di questo e la preoccupazione porta alcuni a pensare di lasciare stare per sempre perdendo in alcuni casi storie di tradizione culinaria e di passione di mezzo secolo! O come nel mio caso di oltre 20 anni (che sommati a quelli di mia nonna portano almeno a 70 anni di storia culinaria)”.

L’appello di Viganò e Oggioni, e con loro di numerosi altri ristoratori del territorio è quello di fare squadra, evitando inutile guerre intestine di retroguardia.

“Oggi si respira il clima del “si salvi chi può” ma non ci si può esimere dal collaborare perchè diversamente si può morire anche non di coronavirus. Non possiamo gettare alle ortiche anni di tradizione e cultura e posti di lavoro”.

Facciamo nostre queste righe di Stefano e Alfredo e le sottoponiamo agli attori istituzionali dai livelli più alti sino alla Regione Lombardia, alla Coldiretti, alla Confcommercio, alla Confederazione Italiana Agricoltori, alla Federazione Pubblici Esercizi…..Tutta gente che dovrebbe creare un vasto movimento d’opinione a sostegno del mondo della ristorazione.

Perché diversamente, il rischio sempre più concreto è quello di vedere sparire non solo  semplici locali. Ma molto di più, storie di passione e di relazione che si tramandano di generazione in generazione. Pensiamoci prima che sia troppo tardi. 

 

 

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