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L’angelo. Di Emanuele Torreggiani

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Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

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In quel tempo, il primo luglio dalla fine della guerra, lei aveva partorito da pochi mesi il suo secondo e quel pomeriggio canicolare, dopo la poppata chiuse gli occhi e fasciato come costume, mentre una lama di vivida luce trafiggeva la cucina che dava diretta sulla corte da dove venivano smorzate le voci delle donne assiepate all’ombra del platano, lei annusò il fiato della bocca del camino che sapeva di cenere fredda e si sentì storcere il capo.

Intuendo che sarebbe caduta incapace di un solo lamento lanciò il piccolo sull’ottomana dirimpetto accasciandosi al pavimento così, col seno aperto stillante una goccia di latte. Il neonato imbozzato a crisalide afflosciò tra i cuscini, a testa sotto. Dormiva in quella sazietà della natura appena creata. Le donne intente a traguardare con lo sguardo che i bimbi né s’azzuffassero né incorressero in pericoli, il pozzo, le stalle, il portone spalancato, lanciavano occhiate alla porta della cucina serrata benché era ormai tempo che la giovane madre sortisse per la chiacchiera pomeridiana e d’altronde il primo suo, un discolo sui tre anni già s’arrabattava con la sua banda a farsi una fionda con una forcella strappata dalla siepe di bosso. Si guardarono, l’interrogativo loro in gola lo svelò il canto del gallo, alto nell’aria di fuoco e la più vecchia, già nonna, si levò dall’impagliata e caracollando fianchi e anni si diresse alla porticina. Aprì e nel taglio nero dell’ombra la vide più pallida della farina. Gridò come si deve e tutte accorsero, meno la più giovane rimasta a guardia. La vecchia raccolse il neonato. La bocca spalancata. Gli occhi aperti. Il viso bluastro. Le altre donne stendevano la madre sull’ottomana, con una pezza da naso una gli pulì dal seno il latte rappreso e gli chiuse il corpetto di cotonina rammendata. La nonna aveva deposto il piccolo sul tavolo antistante la cucina immerso nella tenebra della sala da pranzo vissuta solo il giorno di Natale. È morto. E dispose d’intorno il corpicino immobile quattro ceri che ben sapeva di trovare in un cassetto. Li accese con gli zolfanelli che teneva sempre nelle tasche capienti del grembiule. Rientrando in cucina scosse il capo alle donne che si segnarono sgranando il Rosario.

Una madre si diresse in canonica. La nonna intinse la pezzuola al collo della bottiglia di aceto e lo passo sotto il naso della donna svenuta dicendo che era incinta, uno nasce e uno muore, e riprese la preghiera magistrale: Ave Maria. Mentre la donna apriva gli occhi quasi un pigolio le scosse. Che presto si fece pianto dirotto. Il neonato incorniciato da quattro ceri. Quando fu uomo e la nonna davvero molto vecchia glielo disse; tu eri morto e sei ritornato. Ti ho sempre chiamato angelo; perché è quello che sei. E un giorno; era padre, fu chiamato che era notte. La vecchia stava spirando e lo voleva con lei; che le tenesse la mano.

Emanuele Torreggiani

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