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La via di Benedetto: Gesù Cristo- di Emanuele Torreggiani

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Breve, e modestissima glossa sul tema “La Chiesa e lo scandalo degli abusi sessuali” di Joseph Aloisius Ratzinger, Benedetto Decimosesto il Papa che indietreggiò, il gran recedo, per parafrasare Dante.

Metodo di esposizione. Letto il testo in italiano pubblicato dal Corsera, sottolineo i passi a me fondativi l’intervento dell’Emerito. Poi, stampatolo, idem con l’intervento Suo scritto in lingua madre, tedesco, e vado considerando la traduzione in lingua nostra.
Testualmente, a chiusura del primo dei tre capitoli, si legge: “Del resto, sin dall’inizio, il cristianesimo è stato descritto con la parola hodòs, la fede è un cammino, un modo di vivere”. E qui, nel sostantivo hodòs, che il Papa scrive di pugno in greco, volutamente un rimando alla lingua madre di ogni madre, riferimento aurorale, consegue, nella cifra del suo tedesco il sostantivo Weg, che in italiano viene tradotto con ‘cammino’. A mio avviso il Papa quando scrive hodòs intende precisamente il Weg che si trova nello stilema ‘alle Wege fϋhren nach Rom’, (tutte le strade portano a Roma, crocevia, appunto da croce, conseguente la Roma Imperiale, quella Roma capitale dove Pietro si erige e che poi di quella croce ne fu e ne è tuttora il perno assiale) ed ancora, e forse soprattutto, nel “auf dem besten Weg sein”, cioè l’essere sulla strada buona. Il Weg dunque, la via, indica, nella stesura tedesca un valore materico molto diverso dal camminoe dal relativo camminare. La via è tracciata, già stata tracciata e definita. In Weg si deposita “quell’Io sono la via, la verità e la vita”, così intende Benedetto Decimosesto. E qui si coglie, si vede come il Weg, la via, sia potentemente teologica, e, a sua volta richiama la ‘dritta via’ che apre la Divina Commedia, dove per dritta si intenda quella giusta, corretta, autentica.

Autentica è, sempre a mio avviso e non lo scriverò più, il valore profondo e grande del cristianesimo cui rimanda Benedetto XVI, visto in contrapposizione con l’inautentico di cui già Dante aveva ferma contezza ed capacità di esposizione. Credo che con questo piccolo saggio, e già nella scelta hodòs- Weg -via ancora si riproponga la questione nella sua riduzione alla mondanità contingente. Intanto però, e fuori dalla contingenza che fa tanto discutere nella sua superficialità, l’Emerito colloca un punto fermo. La via non è tracciata, è segnata, ferma, ed è quella. La via è la via di Cristo che, primo tra gli uomini tutti, antecedenti e seguenti, ha dimostrato. Io sono la via, la verità e la vita. I punti cardinali per orizzontarsi nel gran mare dell’essere sono fermi. Il crocevia. Ancora, e potrebbe darsi altrimenti?, la coincidenza di Sant’Agostino e la parola, “tolle lege”, (Le Confessioni, VI) nel breve saggio del venerabile Papa Emerito Benedetto Decimosesto.

Nel terzo e finale capitolo si legge un altro passaggio fondante e così testualmente: “Nel nostro tempo è stato coniato il motto della ‘morte di Dio’, quando in una società Dio muore essa diviene libera, ci è stato assicurato. In verità la morte di Dio in una società significa anche la fine della sua libertà. Perché muore il senso di orientamento e perché viene meno il criterio che ci indica la direzione insegnandoci a distinguere il bene dal male”. Ecco, questo mi sembra il passaggio definitivo della sua esposizione. Lo si coglie nella struttura sintattica del “ci è stato assicurato”. Il soggetto che assicura risulta impersonale. Chi assicura? chi è il soggetto che assicura la società?, non si sa, si dice che con la morte di Dio si acquisisce libertà e la società ci crede. Allora, l’inesistenza del soggetto getta il linguaggio nell’inautentico, cioè dentro il si dice, si mormora, il dialogo, dia-logos, il discorso che tiene, cade frantumandosi nelle voci, nella chiacchiera dove vige l’inautentico che è il buttare via la capacità di tenuta tra gli uomini del dialogo. L’Emerito, con profonda onestà, scrive appunto del si dice in relazione alla morte di Dio. In quanto a molti, leggendo il motto, vien subito da proferire che l’autore sia il filosofo Federico Guglielmo Nietzsche. Nulla di più falso nella banalità grossolana della chiacchiera. Nietzsche, ovviamente non ha mai scritto una asserzione del genere. Sia ne “La Gaia scienza” che in “Così parlò Zarathustra” troviamo l’espressione nella seguente testuale formulazione: “Dio è morto, nei mercati”. “Nei mercati”, la traslazione del senso, del significato, è assolutamente coglibile. Lo stesso Nietzsche di Gesù ebbe a scrivere che “Gesù è il più buono degli uomini”. Quindi la critica nicciana, con il grido disperato del Dio è morto, è in definita relazione dentro il mercato dove il dio è il danaro. Lì. E solo lì , dunque la morte di Dio assume un valore del tutto analitico e non più sintetico. cioè universale. Il linguaggio della chiacchiera, l’inautentico, costruisce sull’analitico una menzogna e ne fa, della menzogna, una sintesi globale, per dirla con uno stilema attuale. La via che indica il Papa Emerito è ancora lunga e, per quanto tracciata, a mio avviso, tutta tutta in erta salita. Insomma, ancora la “selva oscura”.

Emanuele Torreggiani

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