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La via della seta, di Emanuele Torreggiani

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Mentre Cristoforo Colombo scopre involontariamente l’America nella sua circumnavigazione verso le Indie della sfera terreste, che la terra fosse una sfera gli uomini lo sanno in modo definitivo sin dal 400 avanti Cristo per dimostrazione di Aristotele, approdandovi il 1 ottobre del 1492, quasi due secoli prima un veneziano s’incammina, volontariamente, verso la Cina. Si chiama Marco Polo. Egli va verso oriente, come Alessandro Magno, Adriano, aprendovi, in Venezia, il portale di quel continente contiguo all’Europa. Ma le differenze tra i due artefici, grandissimi per ingegno, determinazione e coraggio, sono culturali. Il primo è un uomo di mare, di analitica cultura: il governo della nave, che con la sua intrapresa consegna al secolo immediatamente seguente la globalizzazione di matrice anglosassone degli oceani e dei popoli, ed iniziando il contestuale tramonto della cultura umanistica sorpassata da quella mercantile prima e scientista oggi, il secondo è uno scrittore. Marco Polo è il grande viaggiatore che scrive, con minuzia enciclopedica, il mondo che egli attraversa. Il suo passo è regolato dal canone classico: comprende culture e, quando, pur non condividendone, comunque ne trasmette, traduce, il significato. Il valore culturale. Così agendo egli è figlio autentico del Medio Evo, che lungi dall’essere la pacchiana parodia di manuali storiografici, è il millennio del patrimonio culturale su cui si fonda lo scampolo umanistico di cui si leggiucchia qua e là nei nostri istituti, scriverei di pena, che sono le scuole italiane. Fu amato in Cina, Marco Polo, ne corrispose. Una corrispondenza che viene, ad oggi, mantenuta, sebbene in patria sua postuma, questa roba qui: l’Italia, pare, egli, un misconosciuto. Il celeste impero era, allora, ed è, oggi, un mondo colto, complesso. Non a caso, la storia o meglio l’antropologia, non mente. Quando giunse in uno dei suoi viaggi accompagnati dall’inseparabile appagante selfie, il presidente americano, l’Obama del puerile imperialismo, disse testualmente che si meravigliava di quanto il Colosseo fosse più grande di un campo da baseball. Mostrando così la sua cifra culturale, una palla scagliata da una mazza. Il presidente cinese, a Roma, cita Virgilio. Si sarà preparato, certo, ma sia è preparato.

Ed il fatto che il degno successore di Obama, si sia esagitato in ira, con al seguito il derelitto codazzo di neuroparlamentari al comando degli impresari di Berlino, dice, dimostra, per atteggio negativa, come l’accordo sia positivo. Forse non lo sarà in termini economici immediati ma politicamente certo. Prima di tutto si incrina la sudditanza psicotica nei confronti dell’America, una colonia che si ribella, noi tali siamo, è intollerabile alla multinazionale; secondo rilancia un grande paese, l’Italia, capace di iniziare una nuova politica estera che non sia il banale attenti all’inno a stelle e strisce. Foriero, mi auguro, di una prossima frattura con le sanzioni alla Russia con la quale si deve costruire un percorso di collaborazione che solo l’America non vuole, e con l’America il neuroparlamento. Quanto poi ai cinesi in Italia, considerando che il pallone, il calcio, è l’autentico oppio del popolo, già essi sono ben presenti e coscienti viste le acquisizioni di due squadrette, per definirle con esplicita ironia, come Milan e Inter. Acquisti che non hanno visto le ribellioni di furibondi avventori di saloon quali i politicanti nostrani, per non dire delle acquisizioni di importanti aziende, non ultima la Pirelli. E chiudo con la fola del 5g e correlati. Huawei sta surclassando I phone. Ed I phone costruisce il suo manufatto in Cina. Il che è tutto dire. Il capitolo dei diritti umani mi risuona strumentale. Questo accordo, di certo, non li nocumenta. La via della seta è ancora la via di Marco Polo.

Emanuele Torreggiani

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